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Renato Di Gregorio

Mario Morcellini

Edgar Morin

Silvano Del Lungo

Caterina Cittadino

Maria Mancini

Loredana Capone

Angelo Palladino

Elisabeth Hock

Conclusioni di Renato Di Gregorio

Le ipotesi di sviluppo della Ricerca

La scelta di Sperlonga

Gli altri studiosi che hanno partecipato al convegno

Il convegno del 27 di giugno ed Edgar Morin

L'accordo tra il comune di Sperlonga e l'Istituto di ricerca sulla Formazione Intervento
 
  
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Sperlonga 27 Giugno 2003
Sviluppo Locale e Formazione-Intervento
 
Elisabeth Hock

 
Premessa e sommario
Il “caso” che viene raccontato si riferisce ad un programma di formazione-intervento sulla “comunicazione”, realizzato nell’autunno dell’anno 2002, dalla provincia di Treviso. Sono stati coinvolti tre gruppi di 20 persone ciascuno e propedeuticamente si è condiviso con il management di vertice il metodo e le partecipazioni. Così come prevede la metodologia della formazione-intervento, ai tre gruppi sono stati affidati tre progetti di comunicazione diversi e ciascuno di loro si è suddiviso, a sua volta, in alcuni sottogruppi per dividersi il lavoro di progettazione comune.
La progettazione è servita per apprendere meglio il significato e l’utilità della comunicazione e il ruolo che essa gioca nel progetto di rivisitazione del ruolo dell’ente Provincia sul territorio trevigiano. Essa è anche servita per consapevolizzare le persone coinvolte circa l’uso che ciascuno deve fare della comunicazione e del ruolo che deve esercitare per concorrere a sviluppare una comunicazione efficace e coerente a livello di settore funzionale, di ente e di territorio.
Il racconto del caso vuol mettere in evidenza i presupposti da cui è nato l’intervento, la metodologia utilizzata, il coinvolgimento che si è attuato degli attori interni ed esterni, il feedback che i partecipanti più diretti hanno fornito al termine del processo di apprendimento, i limiti e le opportunità che il finanziamento pubblico erogato dal F.S.E. ha posto in evidenza.
 
1. Contesto e soggetti coinvolti
Ciò che ha promosso il programma di formazione-intervento nella provincia di Treviso è una combinazione di eventi tra loro interagenti:
ü       l’ente Provincia viene indicata, nel corso del 2002, da importanti associazioni imprenditoriali del luogo, come la struttura di promozione dello sviluppo del territorio. Il nuovo ruolo che l’ente va ad assumere deve essere “comunicato”,
ü       la legge 150, emessa nel corso dell’anno 2000 e i successivi regolamenti applicativi stimolano l’ente a rivedere la politica di comunicazione finora attuata, a pianificarla con maggiore impegno e a renderla strumentalmente adeguata al nuovo ruolo che l’ente va assumendo, un programma di formazione presentato alla Regione per un finanziamento del Fondo Sociale Europeo viene approvato e anche se riguardante il tema della qualità si ritiene che possa essere agilmente adattato alla nuova esigenza e quindi sufficiente per pagare la consulenza che serve,
ü       la metodologia della formazione-intervento è già sufficientemente nota perché aveva già toccato un’area specifica dell’ente: quella della formazione professionale e la consulenza che la proponeva aveva già, per questo motivo, un certo credito e una buona fiducia del vertice dell’ente, anche se non una stretta confidenza.
In sostanza, con il programma formativo finanziato, opportunamente modificato così da accogliere le tipicità metodologiche della formazione-intervento, si poteva dunque far fronte a un intervento che consentisse all’ente di sviluppare una comunicazione “reale” da parte della sua intera struttura così da promuovere e consolidare un ruolo che il territorio chiedeva all’ente di ricoprire.
Si parla di comunicazione “reale” nell’eccezione che la distingue da quella “formale”, così come ne parla Roberto Marziantonio (1).
In sostanza, la decisione che la consulenza e il vertice dell’ente, assieme, prendono è di formare alla comunicazione le persone della struttura portandole a progettare strumenti di comunicazione così da raggiungere al contempo più obiettivi:
ü       costruire strumenti di comunicazione condivisi e partecipati,
ü       responsabilizzare il personale interno all’uso consapevole degli strumenti di comunicazione come mezzo per rappresentare un nuovo ruolo e sviluppare una efficace strategia
ü       sviluppare una comunicazione interna, usando la progettazione degli strumenti di comunicazione come occasione di interrelazione orizzontale e verticale,
ü       abituare il personale ad usare la metodologia della progettazione organizzativa come strumento per affrontare i processi di miglioramento,
ü       stabilire un network con strutture simili che hanno problemi simili (Regioni e Province) e che hanno competenze professionali specifiche che si deve imparare ad usare con competenza.
L’intervento, come si è detto, si aggancia strettamente ad una proposta di assunzione di ruolo di sviluppo del territorio da parte dell’Ente.
“Progettare lo sviluppo del territorio rappresenta un segno di grande civiltà nel momento in cui una comunità pensa il proprio futuro”. Iniziava così un lungo intervento del Presidente della Provincia di Treviso, Luca Zaia, apparso sui giornali all’inizio dell’autunno 2002. Da allora diversi passi in avanti vengono poi fatti lungo la via dello sviluppo sostenibile del territorio provinciale di Treviso.
Un progetto, questo, fortemente voluto dall’Associazione degli Industriali e dalle altre Associazioni di categoria, come CNA e Confcommercio, che hanno indicato nel Presidente della Provincia di Treviso il livello istituzionale adeguato ad occuparsi dello sviluppo del territorio, la regia unica per la predisposizione di un piano strategico.
In qualità di Ente promotore e aggregatore, ruolo che spetta peraltro alle Province per legge, la Provincia di Treviso intraprende un lavoro complesso e articolato di analisi minuziosa dei punti di forza e di debolezza, delle opportunità e delle minacce del “sistema Treviso”, coinvolgendo i cittadini detentori di interessi, le Istituzioni, le Associazioni, gli Enti rappresentativi dei vari mondi.
Dopo l’analisi delle componenti strutturali e volontaristiche, delle competitività del sistema economico sociale territoriale, comparato con il sistema concorrente nazionale ed estero, il programma di lavoro prevede di procedere, in un secondo momento, verso la pianificazione. Solo in una fase successiva, diventerà poi possibile raggiungere l’obiettivo di fissare i progetti in maniera chiara e precisa, tali da poter soddisfare i bisogni emersi dall’analisi.
Ma questo è semplicemente ciò che ogni cittadino nel suo intimo vorrebbe veder realizzato da sempre: un territorio che “si parla”, la creazione di una rete, un sistema che sa comunicare una progettualità comune.
Questa partita si gioca dunque principalmente su tre campi:
ü       sviluppare progetti strategici assieme alle forze del territorio promuovendo le competenze che il territorio sa esprimere,
ü       attivare una sapiente comunicazione del territorio e non solo dell’ente,
ü       promuovere una formazione che consenta al personale dell’ente di uscire dalla “posizione” e dall’ente e sentirsi elemento di promozione del territorio.
La comunicazione va riconosciuta come elemento qualificante di un nuovo sistema di relazioni paritarie tra Amministrazioni e cittadini, e come attività fondamentale e non più episodica dei singoli Enti. Essa però va anche considerata come strumento per assecondare un progetto strategico di sviluppo territoriale e per sostenere progetti di miglioramento interistituzionali, nonché per promuovere un’immagine di territorio distintivo che può stabilire partnership con altri territori e scambiare risorse e competenze.
La formazione, dal canto suo, svolge un ruolo centrale per individuare all’interno delle strutture pubbliche nuove professionalità ed accrescerne qualità e livello. La formazione è decisiva per creare nuove culture e nuovi modi di sentire e sentirsi, per valorizzare l’elemento umano, per consentire di ricollocare l’attività di ciascuno in un contesto rinnovato, il quale, a sua volta, deve misurarsi con un sistema in profonda trasformazione.
La formazione assume però anche il ruolo di uno strumento di accompagnamento e di supporto al cambiamento soprattutto nell’eccezione non classica di trasferimento di conoscenze, ma nella dimensione più propria della formazione-intervento dove invece l’interveto di cambiamento costituisce l’obiettivo da perseguire e lo stimolo per un apprendimento individuale e collettivo.
Ed è stato proprio questo principio che ha indotto ad organizzare un programma di formazione internamente all’Ente Provincia di Treviso, con la convinzione che solo una struttura coinvolta e partecipe nei processi di cambiamento potesse reagire con efficacia ed intervenire positivamente e in modo motivato nello sviluppo di nuove strategie.
Come sottolinea Elio Borgonovi “non è infatti pensabile che, avendo detto per legge che certi organi dovranno fare cose diverse e con modalità diverse, ciò possa avvenire “ipso facto” senza forti investimenti di formazione nelle persone”.
Ed è ancor più vero se consideriamo l’esigenza, ormai irrinunciabile, di misurarsi anche nelle Amministrazioni con tecnologie e problemi che sollecitano una conoscenza globale e una risposta sempre più locale. Il fatto che Internet venga utilizzata a Tokio o a New York come a Portobuffolè, il più piccolo comune della provincia di Treviso, significa che alla fine è aumentato e non diminuito il bisogno di riaffermare un’identità locale. “Così come l’e-commerce – ha efficacemente esemplificato Alessandro Rovinetti – non è solo il grande business di Wall Street ma è anche, come ci ricordano alcuni spot televisivi, un’anziana signora meridionale che distribuisce il proprio olio o un artigiano modenese che vende valvole ad una multinazionale giapponese grazie alla rete”.
Con l’emanazione, il 7 giugno del 2000, della legge 150 diventa peraltro un obbligo per le amministrazioni pubbliche redigere un piano di comunicazione con la finalità di gestire i rapporti con l’esterno, sviluppare una coerente politica di comunicazione integrata con i cittadini e le imprese, con tutti gli organi di informazione (mass-media tradizionali e nuovi in modo professionale e sistematica;
La responsabilità dei vertici delle P.A. nell’applicazione della legge 150/2000 consiste nel predisporre strutture e risorse necessarie per progettare e realizzare attività di informazione e comunicazione destinate alle imprese; procedere ad una rinnovata ingegneria di processi di comunicazione interna e adeguare i flussi di informazioni a supporto dell’attività degli uffici che svolgono attività di informazione e comunicazione, e il loro coordinamento; produrre e fornire informazioni, promuovere eventi che, possano tradursi in notizie per i tradizionali e nuovi mass-media
Tale legge prevede l’istituzione del Portavoce e dell’Ufficio Stampa, per le attività d’informazione, e dell’Ufficio per le Relazioni con il pubblico (URP), nonché attraverso analoghe strutture, quali gli sportelli per il cittadino, gli sportelli unici della pubblica amministrazione, gli sportelli polifunzionali e gli sportelli per le imprese.
 
Gli Uffici Stampa, Portavoce ed URP devono, secondo questa legge:
ü       garantire un’informazione trasparente ed esauriente sul loro operato,
ü       pubblicizzare e consentire l’accesso ai servizi promuovendo nuove relazioni con i cittadini,
ü       ottimizzare l’efficienza e l’efficacia dei prodotti-servizi attraverso un adeguato sistema di comunicazione interna
Le amministrazioni devono assicurare il raccordo operativo tra i segmenti di comunicazione attivati, Portavoce, Ufficio Stampa, URP attraverso una Struttura di Coordinamento che presenti, entro il 30 novembre di ogni anno, al Vertice dell’amministrazione il Piano di Comunicazione.
In questo caso specifico sia le strutture funzionali di comunicazione che gli strumenti di comunicazione da mettere a punto all’interno di un piano armonico e coerente con le strategie dell’ente assumono una fisionomia particolare.
Le strutture funzionali devono risultare supporto al management e ai tecnici nel comunicare al meglio e non sostituirsi a loro mentre il Piano e i suoi strumenti devono rispondere ai bisogni di comunicazione dell’ente e non di un singolo settore, devono parlare anche per conto dell’intero territorio e non solo dell’ente.
Il secondo passaggio è stato quello più difficile! Far comprendere al personale di un ente, che a stento riesce a scrollarsi di dosso l’angusto perimetro della sua posizione e a guardare finalmente all’intera organizzazione in cui opera, a considerare addirittura il territorio e a pensare ad esso come ad una organizzazione di cui occuparsi e di cui curarne la comunicazione.
Altro passaggio difficile è stato quello di concepire questa azione di comunicazione del territorio come azione dell’insieme delle organizzazioni che vi operano e non come azione surrogatoria e verticistica dell’ente che istituzionalmente sarebbe il più adatto a farlo.
“Dire a tutti di tacere e parlare per conto degli altri è più semplice che far parlare gli altri all’unisono e aiutare ciascuno ad unirsi al coro”!
 
2. Metodologia della formazione-intervento
La metodologia usata è stata quella usata da Impresa Insieme e convalidata dall’Istituto di Ricerca sulla Formazione-Intervento. Essa si è articolata in due fasi:
q       condivisione strategica,
q       progettazione partecipata
Nella condivisione strategica la consulenza aiuta la dirigenza a vedere le prospettive di assunzione da parte dell’Ente Provincia di un ruolo di coordinamento e sviluppo del territorio e, delle modalità di interazione con le persone presenti sul territorio medesimo, sia in veste di utenti che di clienti. Si riprendono i documenti prodotti negli incontri con le associazioni imprenditoriali, i comunicati stampa e gli articoli pubblicati circa il nuovo ruolo che si viene delineando per l’ente Provincia.
Sia il ruolo che si vuole affermare che il progetto di formazione-intervento che si vuole avviare viene discusso con la dirigenza, assieme al direttore generale che per conto del Presidente interpreta le strategie che il vertice intende perseguire. Si sottolinea che il direttore generale era stato nella precedente legislatura assessore all’interno della giunta dello stesso presidente e quindi assicurava la sensibilità politica adeguata combinata con il potere gestionale del ruolo che aveva assunto.
Dopo la condivisione strategica con la dirigenza e con la loro approvazione della metodologia da utilizzare e del personale da coinvolgere, si è attivata la fase di progettazione partecipata.
Vengono infatti costituiti tre gruppi di progetto di venti persone circa ciascuno:
IL PRIMO GRUPPO viene investito della responsabilità di effettuare la progettazione del Piano di Comunicazione dell’Ente. Un piano cioè che nascesse dalla struttura manageriale e come frutto di un lavoro di equipe. Non un piano fatto dalla consulenza specialistica e nemmeno dalle strutture funzionali che la legge ha sancito, ma un piano che la dirigenza condivide e nasce per “raccontare” il ruolo che ogni giorno la struttura persegue con le proprie azioni, con la forza dei progetti che sa sviluppare e che vanno raccontati per essere compresi e appoggiati.
Il piano su cui si attivano le persone di questo gruppo è articolato in quattro aree di comunicazione tipiche:
1.a. Comunicazione Istituzionale
Obiettivo: proporre un piano di comunicazione istituzionale che consenta di rappresentare  l’identità dell’Ente provincia e del territorio trevigiano, di consolidare  valori e cultura condivisi, di promuovere e sostenere strategie e progetti di miglioramento, di valorizzare quelle caratteristiche che ne consentono un’ attrattività per coloro che vi vivono e per coloro che cooperano con essi.
Il piano deve contenere: attività, mezzi e strumenti, strutture e processi, tempi e costi di realizzazione, sistemi di ascolto, monitoraggio e verifica dei bisogni di comunicazione e della qualità dell’erogazione.
1.b. Comunicazione Interna
Obiettivo: Proporre un piano di comunicazione interna che consenta di mettere in comune le informazioni utili rispettivamente al personale dell’Ente provincia e a quello delle organizzazioni del territorio trevigiano, così da sviluppare l’integrazione tra le iniziative e la partecipazione delle persone per il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento che attengono al singolo ente e alla rete degli enti che operano sul territorio.
Il piano deve contenere: attività, mezzi e strumenti, strutture e processi, tempi e costi di realizzazione, sistemi di ascolto, monitoraggio e verifica dei bisogni di comunicazione e della qualità dell’erogazione.
1.c. Comunicazione Esterna
Obiettivo: proporre un piano di comunicazione esterna che consenta di raggiungere gli stakeholder dell’Ente Provincia e quelli del territorio trevigiano così da stabilire reti di relazioni utili e condizioni efficaci di rappresentazione dell’identità dell’ente e del territorio, delle iniziative
Intraprese e dei progetti che si intendono realizzare così da raccogliere favori e sostegno e stabilire alleanze e network reciprocamente utili. Il piano deve contenere: attività, mezzi e strumenti, strutture e processi, tempi e costi di realizzazione, sistemi di ascolto, monitoraggio e verifica dei bisogni di comunicazione e della qualità dell’erogazione.
1.d. Comunicazione del Prodotto/Servizio
Obiettivo: proporre un piano di comunicazione del servizio e dei prodotti rispettivamente dell’Ente Provincia e del territorio trevigiano che consenta di rappresentare ai relativi fruitori le caratteristiche dell’offerta nella sua evoluzione e di ascoltare i fabbisogni espressi e potenziali, ma anche la percezione che ne hanno e la valutazione che ne fanno per poter migliorare la qualità che li contraddistingue.
Il piano deve contenere: attività, mezzi e strumenti, strutture e processi, tempi e costi di realizzazione, sistemi di ascolto, monitoraggio e verifica dei bisogni di comunicazione e della qualità dell’erogazione.
 
AL SECONDO GRUPPO viene assegnata la progettazione del Sito Web .
 In sostanza si trattava di rivedere i siti già presenti nati in epoche diverse e creati da settori diversi interni e con consulenze esterne diverse riprogettando ciò che serviva in relazione al nuovo ruolo che l’ente intendeva assumere. Anche questo gruppo si articola in sottogruppi di progetto. Questa volta i gruppi che si compongono sono per aree diverse:
2.a sottogruppo Ente
Obiettivo: proporre soluzioni che ottimizzino l’uso dello strumento Web per  rappresentare l’identità dell’Ente Provincia, i suoi valori e la sua cultura, il ruolo sul territorio, la sua strategia, la sua struttura, i servizi erogati, i progetti di miglioramento.
Le soluzioni devono soddisfare il fabbisogno di una comunicazione integrata anche se possono prevedere un’articolazione che consenta di rappresentare l’identità dell’Ente, di comunicare i servizi erogati e di mettere in comune la progettualità dei progetti di miglioramento.
2.b sottogruppo Territorio
Obiettivo: proporre soluzioni che consentano di rappresentare attraverso il Web le caratteristiche distintive del territorio provinciale, la morfologia, la storia e la cultura, la popolazione, le infrastrutture che ne migliorano la vivibilità e ne consentono le attività economiche, le strutture ricettive, la tipologia delle imprese che vi operano, le opportunità di investimento, la qualità della vita,  le attrattività turistiche,culturali e gastronomiche, la qualità dei servizi che esso rende disponibili sia ai cittadini residenti che ai cittadini del mondo a confronto e in competizione con altri territori.
Le soluzioni devono mettere in evidenza l’azione dei diversi attori che operano sul territorio e il ruolo di regia attribuito e svolto dall’ente Provincia
2.c sottogruppo Organizzazione
Obiettivo: suggerire una struttura organizzativa adeguata a progettare, realizzare, gestire e mantenere il “sistema  WEB”  e a caratterizzare le risorse professionali interne ed esterne e le competenze  necessarie. Ciò sia per garantire la rappresentazione dell’identità sia dell’ente che del territorio (comunicazione istituzionale), a facilitare l’erogazione dei servizi e la rappresentazione dei prodotti (comunicazione del servizio/prodotti) che ad agevolare la comunicazione tra e con gli stakeholder interni ed esterni (comunicazione interna ed esterna)
2.d. sottogruppo Tecnologia
Obiettivo: proporre l’ ottimizzazione di quella struttura hardware e software che  consenta di disporre di uno strumento WEB efficace, capace di facilitare la comunicazione con qualsiasi tipologia di fruitori (anche i non vedenti), adeguata e utile a rendere più efficiente la comunicazione interna all’ente e tra gli stakeholder del territorio,  in linea con le norme sulla comunicazione pubblica e con le politiche di e-Government.
 
AL TERZO GRUPPO viene affidata la progettazione del Giornale dell’Ente. Si supponeva di creare cioè uno strumento che consentisse di “raccontare all’interno e all’esterno dell’ente ciò che l’ente andava facendo per assolvere al ruolo che il personale, da una parte, e i cittadini, da un’altra parte, chiedevano consapevolmente o inconsapevolmente alla struttura provinciale nel suo insieme. Un giornale raccontato dal personale dell’ente per il personale dell’ente e per i cittadini.  In questo caso le persone coinvolte dal progetto sono state divise in tre sottogruppi
3.a sottogruppo organizzazione
Obiettivo: proporre la struttura, l’articolazione e la composizione dei contenuti del giornale in relazione agli obiettivi che l’ente Provincia intende perseguire sia per comunicare se stesso (comunicazione istituzionale) e i servizi che dispone e migliora ( comunicazione del miglioramento), sia per comunicare lo sviluppo delle condizioni di attrattività e vivibilità del territorio di cui assume la responsabilità di regia e di promozione.
3.b. sottogruppo alimentazione
Obiettivo: proporre la modalità ottimale per far convergere e/o per far coesistere in modo integrato e coerente le comunicazioni che le diverse funzioni aziendali direttamente o assieme ad altri organismi del territorio producono sotto forma di giornali e riviste.
3.c. sottogruppo territorio
Obiettivo: proporre soluzioni organizzative e processuali per consentire di raccordare allo strumento giornale le fonti di informazioni formali inerente la vita, le attività e i progetti realizzati dall’Ente e sviluppatesi sul territorio in concertazione con gli altri attori significativi che vi operano così da rappresentare il vantaggio che ne ricavano i cittadini e per alimentare un senso di appartenenza e stimolare una partecipazione più consapevole e intensa alla gestione della “cosa pubblica”.
Ogni gruppo ha assunto una sua peculiarità ma nel procedere del lavoro ciascuno è entrato sempre più nella progettazione della gestione organizzativa dell’Ente attraverso la modalità tipica della metodologia che coinvolge le persone rendendole veramente partecipi, ciascuna per la propria competenza progettuale, dello sviluppo organizzativo proposto e condiviso dalla dirigenza stessa.
 
L’articolazione del programma di formazione-intervento è stata la stessa per ciascuno dei tre gruppi, almeno in linea generale. Essa si è distinta in quattro momenti di incontro in aula, di una giornata e mezza ciascuna, e in tre periodi di project work, effettuati durante il periodo d’intervallo di circa dieci giorni, passati nell’esercizio quotidiano, ma con riunioni specifiche di sottogruppo. La sequenza è come quella indicata nello schema sotto riportato.
 
 
 
 
 

Nel primo project work si è analizzata la situazione in essere, nel secondo project work si è visto ciò che altre organizzazioni fanno al riguardo e nel terzo project si è provato a sviluppare un’ipotesi progettuale da poi rifinire e presentare alla dirigenza nell’ultima mezza giornata del programma.
Così:
ü       il gruppo del Piano di comunicazione ha provato a formulare un’ipotesi con tanto di costi presunti,
ü       il gruppo del web ha fatto una proposta di integrazione dei siti preesistenti e ha indicato una nuova organizzazione in grado di occuparsene,
ü       il gruppo del giornale ha impaginato un vero e proprio faxsimile di giornale con i testi scritti dal personale interno e supervisionato dalla dirigenza.
 
3. Il coinvolgimento degli attori interni ed esterni
Il contatto con la dirigenza e con il direttore generale è avvenuto lungo tutto il percorso in quanto l’analisi e la progettazione è stata effettuata intervistandoli opportunamente. Alla fine della fase di analisi si è previsto un momento formale in cui sono state presentate le criticità di partenza e si è fatta una nuova verifica delle traiettorie strategiche entro cui muoversi.
Nelle giornate di aula si è avuto il docente metodologico che ha aiutato i gruppi a progettare, alcuni esperti del settore della comunicazione di cui i tre gruppi si occupavano, ma si sono anche coinvolti alcuni testimoni di altre realtà da cui prendere spunto per soluzioni innovative.
Sono infatti venuti i responsabili di comunicazione della provincia di Udine e del comune di Venezia, il responsabile di comunicazione della Benetton.
Nelle giornate di project work, i gruppi hanno intervistato i colleghi e i capi dei diversi settori interni, hanno raccolto il materiale disponibile e si sono collegati con altre realtà esterne via web e via epistolare.
La conclusione della fase di analisi ha consentito di fare un inventario delle attività di comunicazione effettuate e di accorgersi che l’ente sviluppava una buona mole di comunicazione, purtroppo diversificata come contenuti e mezzi utilizzati, spesso non coerente con le nuove strategie di ruolo, troppo orientata verso le esigenze dei singoli settori. 
 
4. l’apprendimento e le difficoltà dei partecipanti
Le prime battute, all’inizio dell’intervento, nelle prime ore di incontro tra i partecipanti e il docente metodologico, sono state difficili. Il ruolo strategico che in prospettiva il presidente andava perseguendo era per alcuni un sogno, per altri era semplicemente sconosciuto, per altri ancora era ben difficile da ricoprire in uno scenario territoriale sempre molto inquieto e fribillante. Il programma di formazione, nonostante fosse stato anticipato con riunioni propedeutiche con la dirigenza era stato comunicato in modo differenziato ai collaboratori per cui alcuni lo attendevano con curiosità, altri invece che lo avevano appreso con ritardo lo valutavano come un inutile intralcio e appesantimento del loro già pesante lavoro quotidiano. Alcuni avevano fissato degli appuntamenti internazionali per alcune delle date previste di incontro e non potevano certamente disdirli. La metodologia proposta dal consulente che prevedva la progettazione di strumenti di comunicazione lasciava perplessi molti, soprattutto quelli che erano più avvezzi a rappresentare gli interessi e le posizioni dei colleghi. Due erano le obiezioni sollevate:
  1. perché persone adibite a funzioni tecniche dovessero progettare strumenti di comunicazione, quando c’erano delle strutture ad hoc pagate appositamente per farlo
  2. come mai ci si doveva aspettare che il vertice dell’organizzazione apprezzasse il lavoro di progettazione del personale interno se la cultura predominante era quella di carattere gerachico funzionale.
Effettivamente entrambe erano obiezioni giuste e la risposta non poteva che essere questa:
“è un’esperienza che possiamo fare assieme di cambiamento! Le strutture ad hoc sono strumento della struttura e non la sostituiscono quindi bisogna imparare ad usarle come tale e anche ad assecondarle come serve. Il vertice dell’organizzazione ha espresso formalmente il proprio consenso all’esperimento, ma adesso sta a tutte le persone coinvolte dimostrare che si può sposare una metodologia gestionale più partecipata. Peraltro già colleghi di un settore specifico dello stesso ente ha dimostrato che ciò è possibile” .
L’intervento è dunque partito con questa sfida e questo scetticismo iniziale.
Il risultato dell’intervento ha dimostrato che alcune paure erano fondate e che non bastava un programma di tre mesi per cambiare una realtà gestionale oramai assestata da anni.
Le strutture di comunicazione hanno avuto qualche problema a riconoscere nei tecnici delle aree dei colleghi di funzione, ma hanno certamente avvertito e apprezzato una maggiore sensibilità e comprensione del proprio lavoro e hanno registrato una migliore collaborazione.
Il management non ha cambiato a 360 gradi il suo modo di governare l’organizzazione, ma ha certamente apprezzato il lavoro progettuale espresso dai gruppi e ha preso delle immediate decisioni su alcune idee che erano state prodotte. La cosa più sbalorditiva è stata quella di registrare che alcune delle idee più innovative, poste lì quasi come sfida sono passate come veramente intelligenti e quindi immediatamente praticabili.
Una cosa che invece sembrava abituale per la maggior parte dei partecipanti è risultata invece veramente nuova e piena di stress, almeno iniziale, e cioè la progettazione.
Tutti, in apertura del programma avevano dichiarato di conoscere il lavoro di progetto, di aver lavorato già in alcuni gruppi di lavoro, di avere come abitudine quella di confrontarsi con i colleghi. Salvo qualche gruppetto composto da persone più operative, le altre sembravano non spaventate dal compito, quanto piuttosto dall’uso del risultato prodotto dal loro sforzo.
Invece, alla prova dei fatti, questo è stato proprio il processo che ha richiesto il maggior impegno. Fissare l’obiettivo del gruppo rispetto al tema di cui occuparsi ha richiesto molto tempo, definire gli interlocutori da coinvolgere per fare una buona analisi, immaginare il set delle domande da porre ad essi, formalizzare come presentarsi per raccogliere informazioni, individuare le domande che servono a raggiungere una comprensione adeguata di un fenomeno su cui poi intervenire, non è stato semplice. A volte le persone sembravano smarrite. Le persone peraltro apparentemente più strutturate e solide entravano in crisi e si chiedevano: “ma come mai non riesco a capire cose così ovvie, mi sembra di diventare un bambino!”
In realtà esse dovevano cambiare processo mentale.
Il primo passaggio logico da fare era infatti: non trovare la soluzione, ma immaginare un percorso che avrebbe portato alla soluzione.
Il secondo era: non cercare la soluzione dentro di sé, ma acquisire le informazioni, i pareri, le esperienze altrui per “farsi venire le idee” per individuare soluzioni.
Il terzo era: non cercare una soluzione personale, ma perseguire una soluzione condivisibile sorretta da argomentazioni solide di carattere organizzativo, gestionale, economico e sociale,
Il quarto era: il percorso che faccio mi serve per trovare una soluzione, ma anche per trovare un metodo che mi consenta di trovare le soluzioni.
Il quinto era: sto qui per trovare una soluzione, ma è una occasione per conoscere i miei colleghi e avere altre opportunità di interscambio sia professionale che umano.
Il sesto e forse il più importante cambiamento mentale era: “quello che penso ha valore!”
È’ stato interessante fare questo percorso di apprendimento e registrare le evoluzioni sia individuali che collettive che si sono registrate, il piacere di scoprire di capire il senso, il nesso tra le cose, di comprendere la complessità come metodo semplice per comprendere la realtà.
 Ascoltando i feed-back di tutti i gruppi, al termine del programma realizzato, si sono rilevati testimonianze di consenso da parte degli attori, di quanto sperimentato ed appreso.
Il giudizio dei partecipanti su argomento e metodologia di svolgimento del processo è stato generalmente positivo sia per l’efficacia dell’apprendimento che per lo stimolo all’autoapprendimento. Parallelamente tutti hanno espresso una perplessità circa l’attuazione da parte dell’Ente di quanto progettato perché hanno valutato che lo sviluppo del Progetto ha bisogno, per una efficace gestione, di persone competenti.
La tematica della comunicazione si è rivelata come un argomento “nuovo” in quanto essa e stata presentata in maniera completa, articolata e segmentata in funzione delle esigenze dell’Ente e dei suoi fabbisogni.
I partecipanti si sono dichiarati convinti della utilità del corso per la formazione personale e hanno ritenuto che l’Ente avrebbe dovuto cogliere questa occasione mostrando in tal modo, sensibilità ed attenzione al lavoro svolto che, se attuato, sarebbe stato di grande beneficio per l’amministrazione. Tutti hanno colto l’esperienza come una buona occasione di riflessione sull’importanza della comunicazione in un ente come la Provincia.
Durante il processo ci si è resi conto che c’è un modo completamente diverso di gestire e di “pensare alla comunicazione” che si è rivelata essere un importante elemento strategico. Per questo motivo è stata ritenuta necessaria una seria programmazione “a monte” . Il “Progettare” è stata vista come opportunità per poter venir fuori dalla “occasionalità” che, al momento, sembrava essere il dato caratteristico emergente.
L’argomento “comunicazione”, o meglio la sua razionalizzazione in funzione agli obiettivi dell’Ente e del territorio, ha rappresentato una scoperta anche per coloro i quali credevano di saperla usarla nella maniera più opportuna.
Anche le persone che lavorano o pensano di lavorare in modo evoluto sulla comunicazione, hanno dichiarato di aver trovato nel programma formativo uno stimolo alla riflessione.
Questo argomento è stato difficile da assimilare e sviscerare sia perché progettare un piano di comunicazione è diverso che occuparsi di progetti più tecnici, sia per lo scarso tempo a disposizione, dovuto sia al coinvolgimento dei partecipanti in molteplici collaborazioni trasversali sia agli impegni di routine.
 
Il metodo di lavoro è piaciuto perché nuovo e positivo rispetto a quelli seguiti in altri corsi di formazione precedenti e la metodologia è stata particolarmente apprezzata per la spinta data all’autoapprendimento.
Il lavoro di gruppo, che ha avuto un importante ruolo nel processo, non è stato visto come una novità, ma ha dato l’opportunità di confrontarsi su dati concreti ed è stato molto apprezzato. In particolare è stato ritenuto arricchente il fatto che i gruppi fossero composti di persone provenienti da settori diversi; anche coloro i quali non si erano mai occupati di comunicazione e mai avevano progettato hanno valutato in maniera positiva l’esperienza..   
I partecipanti hanno ritenuto inoltre che la metodologia applicata possa essere usata in altri ambiti. Progettare con chi sa a chi non aveva mai svolto un lavoro di progettazione non è stato colto come un problema. “Progettare un’opera tecnica, segue in genere una logica simile e il linguaggio usato non è stato molto diverso dal solito; ciò che è stato molto diverso è stata la modalità di procedere del percorso”, è stato detto.
Qualcuno avrebbe voluto una maggiore presenza di lezioni teoriche proprio a causa della scarsa disponibilità di tempo da dedicare in altri momenti allo studio e alcuni hanno segnalato che ci sarebbe stato bisogno di maggiore presenza di testimoni nel benchmarking. Ma questo non fa che confermare l’interesse a continuare!
In generale si può dire che questa modalità di lavoro intersettoriale, a progetto, sarebbe bene funzionasse di più anche per il lavoro quotidiano. È stato rilevato infatti che, seppur vista inizialmente come una difficoltà, questa modalità può essere letta come un arricchimento. Inoltre, in questo modo, potrebbero essere sviluppate sinergie di lavoro anche per il futuro e ciò permetterebbe anche un servizio più integrato con gli stakeholder.
Tra i pregi del programma tutti hanno rilevato l’importanza di aver sperimentato la possibilità di lavorare insieme con persone di diversi settori. In generale l’esperienza è positiva:
ü       per l’opportunità che ha dato ai partecipanti di valutare sia le potenzialità della risorse interne che le eventuali collaborazioni esterne;
ü       per il lavoro di gruppo; anche se le persone hanno dovuto superare le iniziali difficoltà perché i gruppi erano composti da persone diverse per settore d’appartenenza e per competenze e caratteristiche personali;
ü       per l’opportunità di lavorare in maniera intersettoriale.
Le persone che appartengono ad un piccolo settore hanno avuto difficoltà a seguire bene il programma perché esso richiedeva, non solo una presenza d’aula, ma un lavoro personale e di gruppo da effettuare negli intervalli che intercorrevano tra le giornate d’aula in plenaria.
Qualcuno ha indicato la necessità di razionalizzare maggiormente i carichi di lavoro, vista la partecipazione trasversale a molte attività di coloro che erano coinvolti nel programma.
 

Il finanziamento pubblico

Come si è detto, il programma si attuato anche perché si è reso disponibile un finanziamento da parte della Regione Veneto a fronte di un progetto precedentemente presentato. Il finanziamento era quello del Fondo Sociale Europeo e quindi si basava su un’architettura di erogazione delle risorse e di controllo delle attività tipico del suo genere.
Come si sa il sistema controlla le presenze in aula, consuntiva il materiale distribuito, registra il contributo del docente, prevede la presenza di un tutor, dà per scontata una struttura amministrativa che rendiconta tutto ciò che viene fatto per giustificare l’acquisizione delle risorse concesse. Insomma è noto che il sistema è basato sul controllo dell’erogazione e quindi dei costi, piuttosto che sulla verifica del processo e quindi dell’apprendimento. Peraltro, ammesso che esso voglia anche verificare l’apprendimento dei partecipanti, lo fa a livello degli individui coinvolti direttamente nel programma. La valutazione viene fatta su ciò che pensano gli individui di aver appreso!
Nella metodologia di formazione intervento applicata, altre cose vanno verificate. La prima cosa a cui nessuno pensa è la misurazione dell’apprendimento dell’organizzazione a carico dei partecipanti al programma formativo. I partecipanti infatti si trasformano in progettisti, interrogano l’organizzazione, fanno l’analisi della situazione esistente, la confrontano con realtà più evolute ne traggono considerazioni che dibattono pubblicamente con il management, e così facendo innescano un processo di apprendimento dell’organizzazione; si trasformano inconsapevolmente in “agenti di cambiamento” . Perché non registrare il senso e il valore di tale apprendimento?
In questa metodologia si fa del lavoro tra un momento di incontro strutturato in aula e un altro, si fa del project work – si è detto- ma come viene riconosciuto se il sistema controlla solo le presenze in aula?
Quando il progetto avanza i progettisti devono formalizzare il frutto del loro lavoro e presentarlo alla dirigenza sia per verificare l’esattezza della traiettoria strategica, sia per verificare la coerenza rispetto alle risorse detenute, sia per sviluppare una cooptazione dei vertici su un processo di apprendimento utile ai fini della condivisione delle soluzioni finali. Infatti si prevede che si facciano tre presentazioni: uno alla fine della fase di analisi, una alla fine della fase di confronto con altre esperienze esterne (il benchmarking), ed una al momento della negoziazione delle soluzioni.
La preparazione di tali presentazioni avviene ricorrendo al docente metodologico che via e-mail analizza i testi, suggerisce adeguamenti e approfondimenti, fornisce consigli sulle interlocuzioni possibili. Anche tutto ciò è difficilmente rendicontabile e comunque scarsamente ammissibile rispetto alla tabella dei costi su cui è strutturato il controllo.
Il personale chiamato a progettare, e non solo ad apprendere, anzi, come dice la metodologia “ad apprendere dalla progettazione”, si aspetterebbe un riconoscimento. In fin dei conti le persone fanno, per certi versi, quello che farebbe un consulente profumatamente pagato. Solo l’analisi comporterebbe un dispendio di energie notevolissimo! Non parliamo del benchmarking, che richiede un’immagine certamente di livello per acquisire dati e informazioni riservate dalle organizzazioni! Infine la valutazione dei costi ammissibili della progettazione richiede un confronto sincero e oggettivo con le strutture decisionali interne a cui a volte la consulenza non ha facile accesso.
Ebbene, proprio per questo motivo, qualcuno si aspetterebbe un riconoscimento economico o almeno una ricompensa formale, ma il finanziamento non prevede alcuna ricompensa per il personale coinvolto perché lo considera un corpo da formare e non uno strumento da usare.
E’ dunque chiaro che di fronte a queste limitazioni che il sistema di finanziamento pubblico presenta bisogna adottare accorgimenti adattativi e surrogatori.
E’ comunque altrettanto vero che, mancando questa fonte, seppur limitata e differentemente orientata rispetto al processo su cui si attiva, si rischia di non far partire un intervento come questo, che invece ha avuto tanti buoni motivi per essere posto in moto e che h avuto tanti pregi per i diversi obiettivi che è riuscito a cogliere.

 

 
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