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Renato Di Gregorio

Mario Morcellini

Edgar Morin

Silvano Del Lungo

Caterina Cittadino

Maria Mancini

Loredana Capone

Angelo Palladino

Elisabeth Hock

Conclusioni di Renato Di Gregorio

Le ipotesi di sviluppo della Ricerca

La scelta di Sperlonga

Gli altri studiosi che hanno partecipato al convegno

Il convegno del 27 di giugno ed Edgar Morin

L'accordo tra il comune di Sperlonga e l'Istituto di ricerca sulla Formazione Intervento
 
  
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Sperlonga 27 Giugno 2003
Sviluppo Locale e Formazione-Intervento
 
Maria Mancini

 
Il contesto
L’esperienza di applicazione della metodologia della formazione-intervento alla didattica è stata avviata perché si è voluto sperimentare è la possibilità di unire il momento di apprendimento di certe conoscenze teoriche sull’organizzazione con il momento applicativo, così da verificare, nell’immediato e nelle organizzazioni reali, la validità dei principi e la corrispondenza delle schematizzazioni teoriche.
Di fatto, proprio come suggerisce la metodologia della formazione-intervento, gli studenti sono stati invitati, fin dal primo giorno, a interrogarsi sul ruolo che avrebbero svolto con la laurea in Scienze dell’Educazione che stavano perseguendo, sull’apporto del corso di Sociologia dell’Organizzazione alla preparazione complessiva fornita dal corso di laurea, sul tipo di attività in cui sarebbero stati implicati dopo la laurea, per il fatto che avevano scelto il terzo indirizzo che li portava a diventare “esperti di processi formativi”.
Ipotizzando dunque che “l’esperto” in questione si dovesse, in prospettiva, occupare di “progetti formativi” in una organizzazione o per una organizzazione, si è cercato di affidare a ciascuno studente la responsabilità della realizzazione di un progetto formativo in una organizzazione di proprio gradimento. Il progetto formativo, avrebbe dovuto servire a migliorare l’assetto e il funzionamento organizzativo della realtà prescelta, visto il tipo di corso. Esso doveva quindi essere fatto in modo tale da incidere positivamente sul comportamento organizzativo del personale interno e sull’adeguamento delle professionalità in essere.
Per realizzare il progetto era chiaramente necessario saper fare una lettura delle organizzazioni e quindi era necessario avere delle basi di organizzazione che lo studio della sociologia del lavoro poteva dare e che, in particolare, il testo di James D. Thompson  e quello di Edgard Shein potevano fornire.
La lettura critica dell’organizzazione doveva poi portare ad identificare un modo per intervenire sui comportamenti organizzativi delle persone che popolano l’organizzazione e che ne interpretano i diversi ruoli e quindi era utile avere un testo come il mio “Progettare per apprendere” che prevede la possibilità di intervento per un singolo ruolo o per l’insieme dei ruoli di una stessa organizzazione, oppure per i ruoli dell’insieme delle organizzazioni di un territorio.
Il progetto su cui gli studenti sono stati quindi subito impegnati è diventato un campo di prova e un elemento strumentale per suscitare un loro diverso interesse nei riguardi delle lezioni teoriche effettuate in aula sui testi prescelti. Essi infatti, più prendevano confidenza con le realtà organizzative per le quali dovevano realizzare il progetto e più si impegnavano a ottenere un risultato apprezzabile, più diventavano interlocutori del docente e avidi di conoscenze, curiosi di esperienze reali da cui apprendere.
Durante le prime lezioni, era palese lo sbigottimento degli studenti, in quanto l’approccio proposto risultava troppo diverso dalle attese e dalle loro abitudini e il compito appariva oscuro e comunque troppo impegnativo. Si è poi passati progressivamente all’ansia del “saper fare”, quando, immersi nelle realtà organizzative, ognuno doveva dimostrare di saper utilizzare le chiavi di lettura che le lezioni d’aula suggerivano. Infine si è arrivati alla gioia di sentirsi padroni di un metodo, di una capacità tutta propria di leggere, interpretare la realtà e saper dare qualche consiglio per poterla migliorare.
Anche le lezioni d’aula hanno seguito il percorso che solitamente segue una persona che intende fare un progetto di formazione sul miglioramento dell’organizzazione.
Nell’approccio più classico, infatti, si parte dalla lettura del contesto competitivo, si scende alla individuazione delle scelte strategiche, si passa dunque ad analizzare la struttura delle responsabilità e dei ruoli, si considera la tecnologia di base su cui poggia l’organizzazione e le professionalità che detiene, si rilevano i sistemi di gestione del personale, di pianificazione e controllo, le caratteristiche della cultura prevalente, si verificano i sistemi di comunicazione e si giunge a fare delle considerazioni finali tra il comportamento atteso e quello reale.
Per colmare il “gap” tra le scelte strategiche e il comportamento dell’organizzazione si costruisce dunque un’ipotesi di intervento formativo e si conviene con il vertice dell’organizzazione la sua praticabilità e la sua finanziabilità, oltre che la modalità con cui poi lo si attuerà.
Seguendo questo “sentiero”, peraltro egregiamente espresso proprio con la stessa sequenza dal libro di testo di Thompson, è stato possibile fornire agli studenti le chiavi per addentrarsi, piano piano, nel “labirinto” delle organizzazioni con una progressiva padronanza e soprattutto con una accresciuta capacità di finalizzare l’osservazione e di perseguire l’obiettivo. 
Dal momento che il progetto formativo che impegnava gli studenti sul campo viaggiava parallelamente al processo di apprendimento teorico in aula, è stato necessario ritagliare alcuni momenti di “ascolto” in aula circa le esperienze che si andavano vivendo e di “raccomandazioni metodologiche” che risultava indispensabile acquisire dall’esperienza del docente in quanto non riportate in nessun libro di testo. Questi momenti sono stati particolarmente graditi dagli studenti perché hanno consentito di sviluppare un clima di cooperazione tra i giovani e di maggiore interrelazione con il professore. Infatti i giovani hanno cominciato a darsi una mano l’un l’altro, anche fuori dall’aula, e il professore si è trasformato, in qualche occasione, in un consulente per lo studente, per aiutarlo cioè a raggiungere il suo obiettivo.
Sul finire del corso e in attesa dell’esame si è addirittura preso la buona abitudine di scambiarsi, via e-mail, i pezzi del progetto formativo in fase di ultimazione, per aggiustare il tiro, migliorare la coerenza interna e la finalizzazione applicativa. Ciò è avvenuto sia tra il professore e gli studenti, sia tra gli studenti stessi.
Il rapporto con l’esterno, con le organizzazioni che hanno accettato di ospitare gli studenti dell’Università di Cassino, è stato anch’esso proficuo perché ha dato agli ospiti la sensazione che l’Ateneo si interessasse alle loro problematiche, che svolgesse un insegnamento orientato alla realtà e tale da consentire un più veloce inserimento dei giovani nella realtà operativa della gestione delle organizzazioni, che fornisse loro, questa volta, un contributo progettuale in cambio della abituale disponibilità di “stage”.
In realtà gli studenti e il loro progetto sono diventati,  in molti casi, un anello di congiunzione tra le organizzazioni del territorio e l’Università. Un anello che può essere sicuramente allargato  e consolidato.
Peraltro i progetti che sono stati formulati, considerati come “casi di organizzazione”, costituiscono, nel loro insieme, uno spaccato interessante di ciò che sta avvenendo nelle organizzazioni, oggi, sul territorio circostante, sia in quelle della Pubblica Amministrazione che in quelle delle imprese private. La loro lettura può consentire un’interpretazione importante di un trend di cambiamento in atto e può suggerire politiche di supporto importanti a tutti coloro che ne hanno interesse e, prima tra queste, proprio alla stessa Università.
Può consentire infatti sia di rendere sempre più attuali i corsi universitari e i contenuti e le metodologie didattiche in uso, sia di prevedere un modo per essere più vicino a coloro che in queste organizzazioni sono impegnati, o comunque disponibili, a migliorare la loro funzionalità e la loro competitività, così da assicurare benessere alla popolazione residente su quel territorio da cui  provengono i propri studenti.
 
Il Processo didattico in “aula”
Dopo alcune lezioni sul ruolo del formatore si sono trasmesse le prime indicazioni  metodologiche sulla gestione della “committenza” per comprendere come si affronta un’organizzazione e come si propone ad essa un progetto d’intervento.
Esse sono state le prime lezioni di metodologia.
Nel procedere del corso, durante le lezioni d’aula si sono toccati i temi teorici sul contesto e sull’organizzazione e subito dopo si è approfondita la metodologia di ANALISI dell’organizzazione (vedi testo “Progettare per apprendere…”).
Questo modo di procedere con un insegnamento che lega fortemente la gestione delle competenze con l’esercizio del ruolo, ha dato la possibilità agli studenti di cominciare a fare “l’analisi” nel contesto dell’organizzazione prescelta, ma anche a registrare di avere lacune di conoscenze da colmare.
Le altre lezioni teoriche sul contesto, l’organizzazione, la tecnologia che sono state trattate successivamente in aula, sono state dunque più apprezzate e si è cominciato a sviluppare atteggiamento più proattivo degli studenti verso l’insegnamento (gli studenti avevano un progetto da sviluppare e sentivano il bisogno di avere conoscenze per affrontarlo, mentre normalmente il bisogno avvertito dagli studenti è quello di comprendere quello che va detto all’esame per conquistare un buon voto sul libretto).
Dopo alcune altre lezioni sulla competitività, sul potere, sui sistemi di pianificazione e controllo e sulle varie forme di organizzazione, è arrivato il momento propedeutico alla fase di “benchmarking” e si è approfondito questo tema riportando esperienze e invitando a interrogare internet, a visitare altre località, a confrontarsi con altre organizzazioni.
Poi, ancora sono proseguite le lezioni sulle risorse umane, sulla cultura, sulla comunicazione, sulla formazione finanziata, ed è venuto il momento propedeutico alla fase di “progettazione”.
Allora ci si è soffermati sul modo con cui progettare, dimensionare, finanziare un progetto di formazione che intervenisse sul tema dell’ottimizzazione dell’organizzazione.
 
lla fine del percorso, guidato peraltro da un itinerario predefinito e condiviso a monte, si è provato ad analizzare il contenuto dei progetti che stavano nascendo e a criticarli costrut-tivamente. Questa fase che è quella di “negoziazione” ha significato trasmettere agli studenti la metodologia della “negoziazione” che serve nel momento in cui un formatore si presenta a un committente e le sue proposte devono risultare convincenti, dove la comunicazione deve risultare efficace.
L’itinerario condiviso a monte è diventato anche l’indice della relazione del progetto da presentare all’organizzazione ospitante e all’esame.

Riflessioni sulla metodologia per la didattica

Il corso di Sociologia dell’Organizzazione del professor Renato DI GREGORIO appena descritto si tiene da due anni presso l’Università di Cassino per il CdL in Scienze dell’Educazione III indirizzo, Esperto nei processi della formazione con la metodologia della formazione-intervento.
Le lezioni hanno una importante componente di esperienza sul campo in una Organizzazione a scelta degli studenti: Comuni, ASL, Aziende pubbliche e/o private… di cui essi studiano l’organizzazione e dopo averne individuato la criticità propongono un Progetto formativo per il miglioramento dell’organizzazione.
Lo studio è scandito in passaggi sequenziali ed il percorso da fare viene preparato in aula così da seguire e affrontare le situazioni.
Al primo impatto e con conoscenze solo accademiche la proposta del docente sembrava una cosa impossibile. La realtà che ci veniva proposto di affrontare come “se già” fossimo formatori non era così semplice da interpretare, e poter pensare di progettare il suo cambiamento sembrava impossibile.
Personalmente non avrei saputo neppure dire “cosa” cercare per capire “dove” era il punto critico di una organizzazione ed era pensare ad un’ipotesi utopica che qualcuno mi chiedesse di farlo. Tutto questo ha continuato a rendere agitata la partecipazione alle lezioni almeno per il primo mese e mezzo. Non uscivo dal buio. Questo approccio era difficile e non lasciava spazi di fuga.
Un giorno, dovendo spiegare cosa era la formazione-intervento, improvvisamente tutto il percorso fatto, la fatica di comprendere, la decisione di voler capire dove il saremmo andati e come ci saremmo arrivati è diventato chiaro. Come se stessi parlando di cose che avevo da sempre veramente capito ho cercato di spiegare a chi poneva questa domanda le motivazioni della scelta di un percorso “difficile” ma duraturo e fondato su una scelta di valore della persona.
Finalmente avevo un po’ di chiarezza. Soprattutto vedevo una cosa bella “il metodo”. Non un pacchetto “fast-food” ma un vero percorso interattivo e coinvolgente le persone e la creatività di ciascuno: difficile tirarsi indietro, difficile e per me impossibile dire non mi interessa!
Il mio contesto inamovibile diventava improvvisamente pieno di opportunità: il silenzio era finito. davanti a me la possibilità.
Il linguaggio di un professore che racconta di esperienze, di realtà e di concretezze in un ambiente accademico non è semplice da afferrare. Le sue lezioni comunicano e condividono un’esperienza dunque una realtà, qualcosa che è accaduto alla persona e grazie all’intuizione della persona che insegna, dunque non solo conoscenze ma trasferimento di competenze.
Lo stile usato è quello del racconto. Nel particolare, raccontare non è facile, significa avere qualcosa da dire, sapere come dirla, non stancarsi se il racconto cambia lungo il percorso, non arrendersi nel timore di non essere all’altezza del ruolo… è tutto questo e altre cose ancora.
“Raccontare” è uno stile difficile da trovare in un insegnante, eppure è un mezzo essenziale per trasmettere contenuti che non siano solo teorici. Questo modo di procedere nell’insegnare, chiama alla mente il pensiero di BRUNER: “Il pensiero narrativo deve diventare uno strumento della mente capace di creare significato. (…) L’educazione, in tutti i sistemi che dipendono da un’autorità, presenta rischi perché apre una discussione sull’autorità costituita. L’educazione è pericolosa, perché alimenta il senso della possibilità”
Mi piace ricordare che durante il corso molte volte il senso della ”possibilità” è venuto fuori come un naturale strumento creativo di chi si prepara a fare formazione nel rispetto della persona umana e con il desiderio di accompagnarla nel percorso di cambiamento dentro l’organizzazione.
Il corso dunque sin dal primo momento mette le persone nella posizione di rivestire già il ruolo di formatori. Dal primo momento viene loro detto che faranno un progetto e lo faranno per una organizzazione reale e che dovranno cercare loro questa organizzazione. Può essere un Comune, una ASL, una fabbrica, un Ente di servizio. Va bene ogni organizzazione poiché qualunque essa sia sarà importante seguire il percorso metodologico che coniuga il rigore delle teorie con la naturale flessibilità dovyìuta all’impatto con l’umanità che compone le organizzazioni.

… e sull’educazione degli adulti

La mia tesi sulla Formazione degli adulti nelle organizzazioni con la metodologia della formazione-intervento si chiude con una frase di Renato Di Gregorio che dice “la formazione-intervento è un viaggio e non un libro”.
Ho riflettuto a lungo su questa frase che pur essendo così semplice sembra quasi incomprensibile se si pensa alla difficoltà del procedere proposto dalla metodologia.
Non può essere semplice il percorso che conduce alla scoperta di sé e probabilmente appare ancora più difficile perché, per scoprire la strada del viaggio, la sua mappa, è necessario che si accetti di fare un analogo percorso anche nella propria visione di sé nella vita.
Ogni adulto davanti alla sua vita tende a mantenere le sue certezze. Ha faticato, si è costruito una sua solidità interiore, ha una vita con stabili punti di riferimento e non accetta facilmente che essi vengano destabilizzati a meno che non ne veda la necessità, non desideri il miglioramento per sé e per altri cui tiene.
La metodologia che si offre come strumento per pensare e strutturare il proprio percorso di cambiamento dà all’adulto il senso di un “meraviglioso incontro” ed è un atteggiamento che per primo il formatore di formazione-intervento è necessario abbia acquisito. Mi pare non sia neppure possibile iniziare il vero percorso senza questa indispensabile premessa: diversamente si potrà essere dei buoni ripetitori ma non degli artisti, attori, inventori, poeti, interpreti e creatori di una realtà progettuale: dunque non formatori o consulenti di formazione-intervento.
Il punto fondamentale di questa metodologia, sta nella partecipazione attiva ad un grande gioco di squadra dove davvero l’uomo incontra se stesso e impara e proiettarsi nel presente e nel futuro.
Non è “cambiare” il problema: è averne coscienza è farlo con intenzione, che genera la paura dell’ignoto.
Così io ho analizzato il mio contesto, formalizzato le mie strategie di cambiamento, mi sono confrontata con altri che avevano iniziato processi di cambiamento, ho pre-progettato, negoziato e infine scritto il mio progetto di cambiamento. Ho seguito un percorso difficile che mi ha fatto cambiare e mi ha fatto investire sul senso della possibilità e della scoperta delle capacità e dello studio continuo.
Un lavoro nuovo e bello, dove la capacità di relazioni umane e la volontà di perseguire l’obiettivo sono fondamentali, dove i valori nel cui ambito ho sempre investito energie si sono colorate di nuovo seppur antico impiego; e la terra, questo dono che abbiamo e che gli uomini chiamano territorio, costellata di tante organizzazioni in cui gli uomini si muovono, vivono, amano, gioiscono e soffrono diventa il luogo del mio impegno di lavoro. Un lavoro che non ha la gabbia della costrizione ma la forza della decisione e della scelta.
La consulenza e la progettazione nell’ottica della metodologia non sono asservite alle organizzazioni ma lavorano con loro e attraverso l’intervento organizzativo si avvia un percorso di cambiamento attraverso il quale le persone cambiando se stesse cambiano la propria organizzazione.

Università e territorio

Il comune di Itri

Il progetto su cui ho lavorato e il cui tragitto ha avuto influenze determinanti anche per le mie scelte attuali è quello del miglioramento della comunicazione interna ed esterna del Comune di Itri in provincia di Latina.
Il Sindaco dr. Giovanni Agresti mi ha ricevuto la prima volta più per curiosità che altro. Eppure il percorso è andato avanti ed è stato bello, fatto di dialogoe di collaborazione.
Le lezioni teoriche e metodologiche in Università davano forza e consistenza all’avvicinamento alla realtà e l’incontro con la realtà suscitava ulteriori domande che solo un impianto teorico di riferimento e un percorso metodologico di valore permetteva di gestire e capire.
Ho studiato il contesto geo-socio-economico in cui è situato il comune, insieme con il Sindaco abbiamo formalizzato le Sue strategie, percorso le tappe per esprimere il suo desiderio di sviluppo interno e dare migliori servizi al cittadino; ci siamo chiesti “come” comunicare al meglio i servizi attivati ed infine, dopo avere studiato la composizione delle risorse umane e poi delle tecnologie interne il progetto ha preso vita. Il progetto era stato negoziato e mediato per l’indirizzo strategico dato dal sindaco stesso.
Il Progetto, discusso all’esame e scritto con la visione di realizzarlo concretamente, è stato poi consegnato al Sindaco.
È trascorso un anno, nel frattempo ho discusso la mia tesi di laurea, parallelamente ho seguito i corsi IRFI, iniziato a lavorare con Impresa Insieme, ho iniziato un part-time al lavoro precedente: ho fatto in me lo stesso percorso di cambiamento proposto dalla formazione-intervento.
Dove è finito quel progetto con il sindaco di Itri? Il progetto è lì e credo che il giorno che le finanze lo permetteranno lo potremo realizzare ma il sindaco di Itri l’ho incontrato ancora per lavorare insieme ed è quello che stiamo facendo.
Ci siamo incontrati per parlare dello Sportello Unico per le Attività Produttive, detto SUAP per brevità, e del fatto che i comuni dell’associazione con capofila Sperlonga avevano vinto il bando per la sua realizzazione a completamento dei lavori già iniziati con la quota di cofinanziamento.
Il rapporto di fiducia iniziato ha permesso un dialogo aperto ed il periodo di lavoro comune è stato di buon auspicio per dare corso all’ingresso del comune nel progetto avvenuto attraverso il coinvolgimento dei sindaci interessati.
Il dott. Agresti non ha avuto bisogno di descrivere il suo comune perché io lo conoscevo, né avevamo diffidenze: l’Università era stata utile ad entrambi, a me per entrare davvero in un discorso di professionalità, al sindaco come occasione per pensare al suo comune non solo come buon amministratore ma come un amministratore che deve raccontarlo e impegnarsi a rendere vere le parole del racconto.
Oggi il comune di Itri è entrato a far parte di quel gruppo di comuni che ha avviato il progetto, ha già fatto la condivisione strategica interna nella giunta e con i funzionari interni.
Come la metodologia insegna, la leva della comunicazione ha dato i risultati desiderati: nel comune le persone non pensano più che lo Sportello sia un computer con un software particolare e che il compito di gestirlo è di chi ne è incaricato, sanno questo servizio porterà un cambiamento e che a quel cambiamento parteciperanno tutti.
 

I comuni della provincia di Frosinone

Le mie esperienze di formazione-intervento sia in fase di riflessione, come nella stesura della tesi, che di concreto agire in situazioni reali ed in particolar modo, l’avvio del progetto dello Sportello Unico per le attività produttive per i 19 comuni della provincia di Frosinone con Impresa Insieme srl, hanno reso molto più intensa la mia partecipazione a quella che era una teoria piena di fascino.
Hanno intensificato l’attenzione alla modalità di azione utile perché tale metodologia potesse essere concretizzata in azioni e vissuto reale.
Io non credo sia possibile incontrare questa prospettiva progettuale senza mettersi in discussione né pensare di proporre ad altri ciò che siamo incapaci di fare noi stessi.
Il punto fondamentale sta nella partecipazione attiva ad un grande gioco di squadra dove davvero l’uomo incontra se stesso e impara e proiettarsi nel presente e nel futuro.
Per la mia esperienza posso dire che le persone coinvolte, dopo una prima diffidenza, che è strutturale e tipica nei confronti di ciò che oltre ad essere “nuovo”, è imprevisto nella attuazione, improvvisamente, quasi come per il fenomeno psicologico dell’insight, accettano.
Accettano di giocare la partita e in questa partita il consulente non è in panchina, non è l’arbitrio, non è il pubblico ma il gioco si gioca tutti insieme. Proprio questa è la sua forza, il suo valore aggiunto “impagabile” ma anche l’elemento di “agitazione” più forte.
Spariscono dal panorama delle sicurezze della vita quelle legate a pensare che “ci penserà qualcun’altro” a risolvere il problema: il nostro problema, quello della nostra organizzazione di lavoro, dobbiamo prima imparare a sentirlo “di nostra competenza” poi dobbiamo imparare a risolverlo noi. Non da soli certo, il formatore di formazione-intervento percorre la stessa strada, ma, non è mentalmente disponibile ad offrire soluzioni pre-confezionate: fa la strada insieme e mette il suo “occhio esterno” per aiutare, ma quanto verrà fuori di miglioramento e progettualità sarà ciò che tutti avremmo speso in impegno, creatività e partecipazione al progetto.
Ecco perché credo che ciascuno che apprenda la metodologia, al di là della componente di “utilità di mercato” ha la necessità di entrarvi a suo modo, portando ad arricchirla di un po’ di quel sé che nello stormo delle anatre selvatiche di Lorenz è il perpetuarsi della specie.
Le persone prima sbalordite poi attratte ci fanno, nel percorso, il dono immenso di farci entrare nella “loro” squadra e nella loro vita. È una sensazione di appartenenza e di coinvolgimento che è tipica del “gruppo” e genera quella dimensione di condivisione e di cura che accompagna il lavoro quando è fondato su un rapporto umano veramente produttivo.
Le parole non riescono a spiegare bene perché nonostante sia “lavoro” quello che si vive, avvicinandosi ad un progetto che attua la metodologia della formazione-intervento, appartiene al mondo dell’affettività e della partecipazione che credo sia una discriminante fondamentale per l’approccio al metodo: senza un “appassionamento” si imbocca una strada burocratica che rende il percorso freddo e “altro” rispetto all’idea di fondo.
Inteso in tal senso il percorso, che pure procede per passi logici e razionali, si libera del peso e della freddezza della programmazione del progetto per vivere della modalità umana del procedere, aperto all’imprevisto e alla sensazione e all’emozione oltre che all’obiettivo da realizzare.
Così oggi, dopo aver incontrato quei comuni Frusinate in una situazione conflittuale e a volte ostile, posso dire di aver vissuto in maniera crescente l’amore dell’agire: era lo Sportello Unico all’inizio, pian piano si è trasformato in un incontro di idee, in una condivisone di un percorso, in etica di azione e in coerenza di gestione che è diventata nel procedere un “bene condiviso” da tutti coloro che hanno avuto gli occhi per vederlo e il cuore per volerlo vivere.
Sarebbe bello poter trasmettere come in fotogrammi le immagini che ho dentro e che sento come una ricchezza impagabile: sono gli attimi colti degli sguardi che si intendono o si osteggiano, tutto ciò in un contesto di processo umano che fa dell’apprendimento una dimensione continua e vitale ma soprattutto reciproca.
Il maestro non c’è, forte emerge il ruolo del consulente come accompagnatore e sostegno che non acconsente ad ogni richiesta e cerca di far capire le scelte senza imporle. Ma non è neutrale. Come per ogni scelta educativa la neutralità è impossibile.
La scelta si fonda su un valore ed in tal senso è sempre politica. Ha cioè bisogno della condivisione del valore di fondo che è quello di pensare l’uomo come persona dunque capace di migliorare e di pensare alla propria vita in una dimensione progettuale di miglioramento continuo,
E quante scale hanno condotto alle scrivanie di sindaci: piene di carte, di oggetti strani, con il computer, il tagliacarte in bella vista, il telefonino sempre acceso, il ritratto sempre presente del Presidente della Repubblica e le insegne colorate di rami e foglie su ogni gonfalone.
Ecco è stato così attraverso un vero “incontro” e a volte scontro tra le persone che, in poco tempo quello che era un freddo “sportello” è diventato una partecipazione alla vita di un territorio attraverso i sindaci e le persone che essi rappresentano: un miracolo.
 

Formazione e condivisione

Che prezzo ha vivere un miracolo io non lo so. Ho solo la certezza che è possibile che accada perché dalle mie mani insicure e dalle mie incertezze, dal mio sentire il senso di giustizia e il dovere della verità, ho visto passare le idee che nutrono la metodologia e vivono nelle persone oneste che amano fare le cose con attenzione e rispetto all’umanità.
La formazione-intervento nasce, si nutre e vive di questo nucleo di pensiero fondante: senza la condivisione del percorso umano non parte nulla di vero, figuriamoci un progetto di cambiamento.
E proprio perché questa metodologia condivide in profondità l’umano è necessariamente perfettibile. Tutto ciò che attiene l’uomo lo è, per cui, seguendo lo stesso percorso umano di miglioramento anche la metodologia sta facendo passi di condivisione che la rendono sempre più aperta alla creatività e al contributo di coloro che, giovani o adulti che sia, ad essa si avvicinano.
Resta necessario possedere il requisito dell’amore per l’umanità e del rispetto della necessità di studiare, approfondire, allargare sempre più le conoscenze perché esse possano diventare sempre più un bagaglio da condividere più che un tesoro da custodire sotto chiave.
Peraltro, a me resta difficile pensare di “vendere” la metodologia come pacchetto inserito in un prodotto.
Vedo il processo intellettuale e di approfondimento culturale, coinvolgente sul piano umano e dei valori, pieno di prospettive profonde che coinvolgono le persone e le cose in cui le persone investono la propria esistenza e, quasi mi sembra di sciuparne il motivo ispiratore quando ascolto chi lo avvicina associarlo troppo alla “resa” in danaro.
Come potrebbe essere valutata ad esempio la capacità creativa di “immaginare” il futuro di una realtà che è davanti ai nostri occhi e che per essere pensata come mutabile ha bisogno principalmente di essere “vista”, ha bisogno di uscire dall’effetto “cartolina” per trasformarsi in un film a colori?
E poi, come quantificare l’impegno e il lavoro da fare per farla crescere con i suoi attori e magari proprio come insieme l’abbiamo, immaginata?
Difficile misurare con un prezzo espresso in danaro: il valore grande è trovarsi nello sforzo comune di immaginare la realtà insieme ad altri, lavorare con passione e senza risparmiarsi per fare crescere con quella realtà noi stessi e tutti quanti abbiano scelto di lavorare con noi.
Credo che coloro che si avvicinano come formatori o consulenti, abbiano veramente bisogno di approfondire il sostegno teorico e sviscerare sempre più il “percorso” di metodo: l’università come ambito di studio, la ricerca sulle applicazioni pratiche sono ora fondamentali per consentire al discorso immaginativo e intelligente del fondatore di trasformarsi in un “condiviso” e creativo progetto di sempre più ampio respiro.
 


 

 
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