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Organizzare le Organizzazioni del Territorio: il ruolo della formazione-intervento

Programma

Apertura del Convegno

Caterina Cittadino

Antonio Naddeo

Bepi Tomai

Aurelio Iori

Luca Zaia

Costantino Formica

Mauro Frongia

Claudio Stanzani

Massimo Tomassini
 
  
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Roma 25 Gennaio 2000
Formazione-Intervento e Territorio
 
Caterina Cittadino

 

Dott.ssa Caterina Cittadino, Dipartimento della Funzione Pubblica

Il cambiamento in atto è visibile e percepibile, ma poco compreso nella visione più generale, in quella che hanno gli operatori, i cittadini, in quella che hanno le persone che interagiscono perché il cambiamento in atto coinvolge, sulla base del principio della sussidiarietà, le persone, le società, gli enti pubblici, lo Stato, i cittadini, gli amministratori, tutta la società civile. Importante è comprendere lo scenario generale di tale cambiamento. L’amministrazione pubblica si sta muovendo su tre grandi scenari che nascono da varie necessità e da varie crisi della società.
 
Cambiare per superare le crisi è solo un aspetto! Occorre cambiare, muovendo da crisi che si sono create nell’ordinamento, per modificare, pensando al futuro.
 
Occorre, allora, partire dalle crisi, che è il momento dell’analisi, per comprendere perché si sono prese alcune direzioni e non altre; perché cambiare è sempre possibile, però il cambiare è frutto di scelte che vanno in una direzione in seguito ad analisi di determinate crisi.
Ma quali sono state?
 
Sicuramente l’atteggiamento accentratore che ha mantenuto lo Stato e che ha comportato un intervento sempre più accentrato, sempre consapevole e cosciente delle esigenze del territorio e, di conseguenza, una macchina amministrativa che è diventata sempre più complessa perché lo sviluppo della nostra società ha implicato che lo Stato si facesse carico delle esigenze della società, ma ritenesse, fino a poco tempo fa, di doverle realizzare in proprio.
Ne risulta uno Stato accentratore, uno Stato che si occupa sempre più delle esigenze che vengono dalla società e, quindi, una macchina amministrativa che, in virtù di questi due fattori concomitanti, è diventata sempre più lenta, farraginosa, incapace perché inconsapevole delle esigenze del territorio che sono diverse, perché diverso è il territorio e le esigenze della collettività che sul territorio vive ed opera, ed è incapace, poi, di essere realmente efficace.
 
Ma, quali sono le direzioni che sono state scelte nell’ambito dell’attuazione delle progettazioni e dell’attuazione delle riforme? Nel periodo in cui ci troviamo oggi, la fase delle grandi riforme può ritenersi conclusa al fine di dare contenuti concreti a progetti.
Cambiare la società è lo scopo della politica, per cui ogni Governo, anche in passato, si è orientato al cambiamento.
 
Oggi ci troviamo di fronte ad un progetto più complessivo e più difficile da attuare rispetto a qualsiasi progetto realizzato in passato. Si nota la necessità di saper sentire le esigenze del territorio, di saperle trasformare in realizzazioni, in opere. Ciò avviene attraverso un’opera di decentramento, utilizzando un principio che non compare espressamente nella nostra Costituzione, quello della “sussidiarietà” che consente di trasferire responsabilità e competenze a quegli enti che sono più vicini alla collettività, ma alla quale devono rispondere perché tale vicinanza consenta loro di conoscere, di capire meglio le esigenze della collettività  e di poterle realizzare.
Principio di sussidiarietà, trasferimento, attraverso un cospicuo corpo di deleghe, di tutta una serie di competenze, soprattutto operative, agli enti locali, cercando di fare attenzione ad un aspetto che è stato un altro dei problemi che in questi anni si è avuto, cioè il trasferimento diretto delle materie di competenza dello Stato alle Regioni e agli enti locali.
In passato, lo Stato accentrava, delegava poco alle Regioni, e le Regioni a loro volta, per quel poco che ricevevano, erano restie a delegare ad enti territoriali.
Oggi, sulla base del principio della pari dignità degli enti territoriali, i provvedimenti di delega consentono di considerare sia gli enti locali, ai quali si stanno delegando compiti operativi, e tutto ciò che comporta la realizzazione dei servizi, che le Regioni, alle quali si stanno delegando competenze a carattere programmatorio.
Si sta assistendo, dunque, in base al principio di sussidiarietà, ad un ribaltamento, almeno nei disegni di legge, rispetto al passato. Non bisogna, però, solo pensare al decentramento, ma è necessario pensare anche al modo in cui si realizzano i servizi.
 
Giannini, uno dei più grandi giuristi italiani, ha avuto il merito di trasformare il diritto amministrativo in diritto vivente, di trasformare tutto ciò che giornalmente si fa in procedimento, di capire che l’atto amministrativo è formato da una serie di azioni che si compiono quotidianamente, ha avuto il merito di rendere più vicina, più legata la teoria alla pratica.
L’amministrazione è improntata sulla base del principio della legalità, che era l’unico che consentiva di agire perché occorreva rispettare le leggi; l’unica preoccupazione del funzionario, del dirigente era che la cosa che si faceva corrispondeva alla norma che la prevedesse.
Fino a qualche anno fa, il principio della legalità è stato pensato come “fare solo ciò che la legge prevede di fare”.
 
In realtà, oggi, oltre al principio della legalità, sulla base delle trasformazioni in atto, ci sono i principi dell’efficacia, dell’efficienza, della economicità.
 
Il principio della legalità non può essere più pensato come consistente in un atto o come un’azione prevista, che sia in linea con la legge; un tale principio deve portare un risultato, deve essere, cioè, efficace ed efficiente, deve saper condurre ad un risultato che, nella scelta della soluzione e della realizzazione, deve essere più efficiente possibile. Allora il principio di legalità implica che “può farsi ciò che la legge non ti vieta di fare”. Anche in questo caso si avverte un ribaltamento, non soltanto teorico e giuridico, ma lo si riscontra nei fatti, nell’atteggiamento, nella capacità di scegliere, di decidere volta per volta qual è la cosa migliore, quale cosa può portare ad un effetto concreto.
Occorre, allora, rivedere questi meccanismi per portarli, in linea con il decentramento, ai principi di efficienza, di efficacia, che sono intervenuti in veste legislativa nel nostro ordinamento. Come? Attraverso un’opera di semplificazione, riportando al Parlamento la possibilità di svolgere la sua azione, che non è quella di definire nel dettaglio gli ordinamenti, ma di definire grandi direttive, grandi azioni perché il Parlamento deve poter esprimere ciò che è compito della politica, cioè il progresso ed il cambiamento della nostra società.
 
Ma come riportare nella sua sede naturale la capacità di progettare, anche sotto il profilo del procedimento e del provvedimento? Attraverso un’opera di semplificazione che si attua sulla base della delegificazione.
Vale a dire, il Parlamento si spoglia dei settori in cui è necessario che ci sia la cognizione dei tecnici, di specialisti della materia; definisce grandi principi, e la competenza primaria alla regolamentazione di questo settore compete all’amministrazione che ha il compito di realizzare, di eseguire, di fare, di trasformare le linee della legge in opere, in azioni concrete.
 
La delegificazione si ottiene tramite i provvedimenti, quale fonte normativa secondaria, ma che quando il Parlamento si spoglia di questa podestà, resta la fonte normativa cui bisogna far riferimento, procedimenti che sono poi realizzati attraverso la semplificazione, cioè attraverso una valutazione comparata di ciò che è giusto fare, di ciò che può essere eliminato, delimitando e seguendo soltanto quegli atti o quei provvedimenti che sono indispensabili per la realizzazione delle attività e demandano il resto alla discrezionalità.
 
Qui rientra il terzo grande settore, perché se il concetto dal Parlamento, attraverso la semplificazione, è passato al Governo, ed attraverso questi regolamenti di semplificazione, una grande fetta di tutto ciò che era procedimento diventa opera e quindi, discrezionalità di scelta, non si poteva non modificare il rapporto organico fra amministrazione ed i suoi operatori, dai dirigenti ai funzionari, perché impostato com’era, questa discrezionalità che oggi è indispensabile per realizzare il cambiamento, prima non era consentita.
 
Un rapporto di lavoro impostato sulle leggi passa alla contrattazione collettiva nazionale, quindi ad un momento pattizio in cui sindacati ed amministratori, in maniera paritaria, si confrontano per consentire la definizione dei rapporti, dei diritti e dei doveri degli impiegati e dell’amministrazione pubblica. Quindi la discrezionalità ha implicato la necessità di fornire sempre di più agli operatori, ai dirigenti, al top management dell’amministrazione pubblica, capacità e poteri dei datori di lavoro privati come realizzazione di scelta discrezionale.
La terza grande direzione è relativa al rapporto tra amministrazione e dipendenti, alla privatizzazione della dirigenza per poterla dotare di queste capacità di scelta, per attuare necessarie azioni propedeutiche per realizzare, non soltanto il rispetto per la legge, ma anche l’utilità dell’azione che sta intervenendo.
Il principio di sussidiarietà ha implicato, non soltanto la necessità di considerare alla maniera già detta per gli enti territoriali cioè Regioni, Province, Comuni, ma anche di considerare la società civile, cioè le organizzazioni che operano sul territorio che con le loro azioni promuovono il cambiamento e lo sviluppo della società.
Il principio cui si fa riferimento, introdotto nel decreto legislativo n°59 sul decentramento, è quello della sussidiarietà orizzontale che fa riferimento ad organizzazioni che operano in diverso modo e con diversi fini sul territorio.
Importante è conoscere quali sono gli interventi che lo Stato deve tenere per realizzare in proprio e quanti e quali attività può trasferire, sulla base del principio della sussidiarietà, ai privati perché da questi svolti in maniera efficiente.
 
Se questo è lo scenario del cambiamento, è opportuno dire che in virtù di questo disegno organico, l’attuazione di questa grande e complessa opera è molto lenta: il decentramento, per quanto riguarda il trasferimento di competenze ad enti territoriali, va molto lenta.
La semplificazione, in maniera più efficiente si sta agendo sotto il profilo della privatizzazione della dirigenza.
Sulla base dei principi della discrezionalità su cui operano e devono far riferimento i dirigenti ed i funzionari della Pubblica Amministrazione, diventa necessario un intervento massiccio ma efficace, oculato, pensato, per formare questo personale affinché possa prima comprendere, essere consapevole delle proprie possibilità, ed avere la possibilità, attraverso conoscenze ed informazioni, di realizzare effettivamente i contenuti.
Se questo meccanismo si inceppa tutto il processo di riforma. Quindi, il momento formativo, diventa un momento essenziale. Esso deve evitare gli errori di prevedere interventi che siano costanti ed uguali, ma deve prevedere forme di differenziazione a seconda della necessità. La formazione diventa il principale strumento che l’amministrazione ha a disposizione per poter procedere a questa grande opera, a questo grande progetto di cambiamento.
 
 


 
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