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Obiettivo del Convegno

Programma

Domenico De Masi

Massimo Silvestri

Andrea Pala

Caterina Cittadino

Maria A. Mancini

Silvano Del Lungo

Ivetta Ivaldi

Renato Di Gregorio

Gli impegni post Convegno
 
  
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Sperlonga 26 Ottobre 2004
Formazione-Intervento e Innovazione Organizzativa per lo Sviluppo Locale (le figure del cambiamento)
 
Maria A. Mancini

 

IMG793183.jpg Quella che mi accingo a raccontare è un’esperienza vissuta quest’anno. Si tratta di un programma di formazione-intervento per l’applicazione della legge 150/00 presso la Corte d’Appello di Campobasso.
La regione giudiziaria del Molise copre tutta l’area della regione stessa geo­grafica. È divisa in due parti, con le corti d’appello, una sezione penale e una civile. I tribunali sono sparsi su tutto il territorio ma la sede centrale degli uffici è a Campobasso.
 
In breve cosa cambia con la legge 150/00?
La legge dice alle Pubbliche Amministrazioni che queste DEVONO comunicare, e definisce gli strumenti e le strutture che si occupano di comuni­cazione. In particolare per le Amministrazioni dello Stato, prevede che ven­gano effettuati dei programmi di comunicazione, che sia costruito un piano di comunicazione e siano avviati progetti di comunicazione a carattere pub­blicitario. Definisce anche la possibilità di acquisire finanziamenti per l’at-tuazione di questi progetti.
Sulla scorta del contesto legislativo, il programma si è avviato.
L’articolazione della comunicazione prevede sei diversi aspetti:
- Comunicazione istituzionale
- Comunicazione interna
- Comunicazione organizzativa
- Comunicazione del servizio
- Comunicazione del miglioramento
- Comunicazione dell’ascolto
Nel progetto attuato in Molise tutti questi aspetti sono stati affrontati.
Quali sono stati i criteri della progettazione?
Prima di tutto si è pensato ad un intervento che coinvolgesse l’intera orga­nizzazione, a partire dai vertici, che hanno formalizzato la strategia dell’ente, esprimendo la chiara volontà che questo intervento fosse effet­tuato. In base a questo, i dirigenti hanno definito, nell’ambito del progetto e durante il project work tra una riunione e l’altra, il piano di comunica­zione. I funzionari hanno poi individuato degli strumenti di comunicazione e li hanno progettati.
I gruppi di lavoro, come vuole la formazione-intervento, sono stati sostenuti da specialisti della comunicazione pubblica, e seguiti e affiancati costante-mente nel loro percorso di progettisti dai metodologi.
In questo modo il percorso ha portato a un approfondimento dei temi della comunicazione pubblica, a contributi progettuali condivisi su progetti di comunicazione immediatamente “cantierabili”, e a una comunicazione reale tra le persone che hanno lavorato insieme, indotti dalla progettazione co­mune.
Mi soffermo sulla parola “cantierabili” per sottolineare come i progetti messi in atto non sono esercitazioni d’aula, ma progetti definiti in tutti i loro aspetti e realmente attuabili qualora la dirigenza lo desideri.
Il percorso è stato quello tipico della formazione-intervento, in cui si effet-tua l’analisi, il benchmarking e la progettazione, alternando giornate d’aula con periodi di project work. I project work sono momenti in cui le persone intervengono nel percorso progettuale investendo se stesse, entrando in gioco. In questi momenti la metodologia, con il suo percorso strutturato, consente alle persone di accertarsi della realtà, di guardare al­tre realtà per vedere situazioni simili, diverse o eccellenti, di progettare in­sieme la soluzione migliore.
Le giornate tematiche rappresentano i momenti in cui gli specialisti danno il loro contributo tematico, fornendo un supporto sulla materia in sé, nella fattispecie la comunicazione pubblica. Questo porta ad una considerazione. Qualsiasi sia il tema da affrontare, di organizzazione, di comunicazione o di altro genere, si può utilizzare questa metodologia di formazione. In questo percorso il docente tematico non è necessariamente indispensabile per portare avanti il progetto. Egli si comporta in sostanza come una fonte di conoscenza, che potrebbe essere distribuita su qualsiasi altro supporto ma in questo caso è rappresentato da una persona.
 
All’intervento hanno partecipato 110 persone, di cui quindici dirigenti e i restanti scelti tra le varie fasce di dipendenti. È iniziato il 12 ottobre 2003 e il 12 novembre 2004 si conclude l’ultimo “corso”.
La metodologia utilizzata, la formazione-intervento appunto, è stata scelta dal Ministero della Giustizia come quella più adatta alla formazione della dirigenza, ed inserita nel piano di formazione per il 2004.
L’11-12-13 ottobre abbiamo avuto un incontro, a Fiuggi, con i formatori della Giustizia perché essi stessi apprendessero la metodologia per poterla applicare nella formazione della dirigenza. Questo per fare in modo che i dirigenti imparino anche a progettare il proprio piano di comunicazione, e quindi il proprio cambiamento organizzativo.
 
Quali sono stati i ruoli coinvolti?
Senz’altro il presidente, il responsabile della formazione, i dirigenti, i funzionari e, accanto a loro, il docente metodologico, il docente tematico, il tutor di processo, tutte figure tipiche della formazione-intervento.
 
Il presidente è intervenuto a condividere con i dirigenti stessi il piano di formazione e comunicazione. Nei vari incontri si è rivelato molto attento ai cambiamenti, aperto verso soluzioni nuove, disposto a costruire con i propri collaboratori rapporti non basati su un formalismo stretto. Ha incontrato, durante tutta la durata del progetto, tutti i gruppi di lavoro, che sono stati da lui ascoltati e sostenuti. Forse proprio per la capacità di ascolto e sostegno che mostra è estremamente benvoluto dai propri dipendenti all’interno della sua organizzazione. Ha mostrato di avere idee estremamente chiare su ciò che voleva e su quelle che erano le necessità. Proprio in considerazione delle necessità è avvenuta la scelta di puntare anche sulla comunicazione dell’ente.
 
Altro ruolo importante in questo processo ha rivestito la responsabile della formazione, con il suo ufficio. Da un’indagine fatta nella corte d’appello nel 2001 era stato rilevato un bisogno di approfondimento dei contenuti della legge 150. La responsabile, ricevuta questa sollecitazione e avuta notizia che il tribunale di Sassari nel 1999 aveva utilizzato la metodologia della formazione-intervento per affrontare il cambiamento costituito dall’introdu-zione del giudice di pace, con coraggio ha avviato un programma che induce tutta l’organizzazione a mettersi in gioco. Non sapeva bene a cosa andasse incontro, ma si è fidata della consulenza che aveva conosciuto, nonostante tutte le difficoltà, probabilmente dovute ad una concezione più tradizionale della formazione.
 
I dirigenti costituiscono un piccolo gruppo di persone. Alcune di esse hanno una consistente anzianità di servizio, alcune coprono la posizione organizzativa pur non essendo ancora diventati dirigenti. Nel gruppo che ha partecipato al programma di formazione intervento ci sono state poche donne, e proprio loro coprono la posizione organizzativa del dirigente. Fra loro c’era una certa differenza culturale, di formazione e di preparazione.
I dirigenti hanno partecipato al programma con impegno, hanno messo molto entusiasmo e hanno sostenuto poi successivamente i funzionari nelle varie fasi del loro percorso, ascoltandone e condividendone le soluzioni, accettando anche le critiche che venivano al loro lavoro.
 
Per coinvolgere i funzionari sono state effettuate cinque edizioni del programma. Essi si conoscevano poco. Alcuni, all’inizio del programma venivano in aula controvoglia, alcuni si mostravano addirittura ostili, alcuni si sentivano costretti, altri erano gruppi appartenenti ad uffici dotati di una posizione estremamente delicata, e di cui i cittadini hanno un’opinione non favorevole.
Tutti hanno manifestato la convinzione di far parte di un’organizzazione:
§      a parte
§      diversa
§      poco disponibile al cambiamento
Si è rilevata anche un’altra difficoltà, ossia la mancanza di una “comprensione sociale” dell’organizzazione, poiché questa, per forza di cose, si pone con un atteggiamento “punitivo” nei confronti dei cittadini. Un’altra criticità sollevata da tutti è stata la doppia dirigenza.
Nonostante tutto questo, c’è stato massimo impegno e partecipazione nella produzione di progetti elaborati con molta creatività.
 
I dirigenti hanno proposto un piano di comunicazione, di durata triennale, che ha toccato questi aspetti:
§      La comunicazione interna
§      La comunicazione del servizio
§      La comunicazione istituzionale
Hanno inoltre affidato ai propri funzionari l’elaborazione di argomenti su cui progettare strumenti di comunicazione.
 
I gruppi dei funzionari hanno progettato:
§      Portale
§      Brochure di processo
§      Modalità di accordi e protocolli d’intesa
§      Accordo con le scuole
§      Comunicazione dell’ascolto esterno
§      Rapporti con le università
§      Brochure istituzionale
§      Modalità di gestione delle riunioni settoriali
§      Sistema di intranet
In quel periodo sono uscite le due direttive, quelle della customer satisfaction e del benessere organizzativo. Ci siamo dunque subito impegnati in questa attività e per entrambi i progetti sono stati progettati, da una parte, un complesso sistema per la rilevazione della soddisfazione del cliente (con tutte le difficoltà connesse alla sola comprensione di avere dei “clienti”), dall’altra, un sistema di consulenza, all’interno del tribunale, per le persone in difficoltà, prima che intervenga la Giustizia (progetto estremamente originale, e iniziativa praticamente unica a livello nazionale). Quest’ultimo progetto è stato importante perché ha previsto che la Giustizia si metta al servizio della giustizia e che l’iniziativa venga finanziata dai frutti dei depositi giudiziari, attualmente infruttuosi.
Ultimo gruppo è quello che si è interessato di:
§      referenti della progettazione
§      project management
§      comunicazione attraverso gli ambienti
§      front office.
 
Possiamo trarre delle conclusioni. Il processo ha presentato delle difficoltà soprattutto per coloro che sono abituati a vedere e gestire la formazione in maniera tradizionale, cioè la staff. Le criticità della staff sono accentuate da un processo che invece si genera in coloro che sono direttamente impegnati nei processi. Questi, infatti, si entusiasmano, si dedicano al lavoro ben contenti di sperimentare un modo nuovo e diverso di lavorare.
Anche il formatore che ha promosso il percorso, se da una parte ne soffre le regole mentre lo vive, dall’altra riceve continuamente riconoscimenti di quanto sia stato bravo a proporre questo percorso, e di quanta lungimiranza abbia avuto nel porre le cose in maniera diversa.
 
Perché accade questo? Prima di tutto perché nella metodologia usata la formazione è strettamente connessa all’intervento, laddove il metodo formativo tradizionale si occupa solo di organizzare la formazione, oppure di erogarla.
In un percorso di formazione intervento si combinano molteplici reazioni, di ostilità, di diffidenza, di superiorità, di finta indifferenza (oltre ovviamente a quelle positive). Raramente coloro che si definiscono “addetti ai lavori” sostituiscono all’iniziale sorpresa un atteggiamento di curiosità, di condivisione, di partecipazione.
Ciò mi porta a dire che il cambiamento dell’organizzazione, se vuole essere vero, non può essere condotto con la formazione tradizionale, che resta chiusa nelle aule e affida alla persona tutto il percorso successivo, deresponsabilizzandosi.
La formazione-intervento, d’altro canto, se gestita male, come se fosse una tecnica (laddove una tecnica non è), può provocare ulteriori frustrazioni in chi la gestisce. È una metodologia indubbiamente complessa, che non può essere improvvisata e che richiede competenze articolate. Il cambiamento che innesca tocca le persone ed è destinato ad avere successo solo se riesce a coniugare competenze specifiche: di tipo organizzativo e di tipo educativo, aggiungerei con componenti di conoscenza psicologiche, di gestione dei gruppi. Coniugare questi aspetti porta al successo in questo ambito. A questo va poi aggiunta la capacità di credere in se stessi, nella propria creatività nel trovare le giuste soluzioni.
Capita che chi gestisce un processo e si trova ad avviarlo non conosca affatto le soluzioni finali, e questo può avere un effetto destabilizzante perché le persone gli riporteranno difficoltà, esigenze e problemi sempre nuovi, che egli non può prevedere. È indubbio che abbia bisogno di una solida preparazione a monte che gli consenta di far fronte alla destabilizzazione.
Altra considerazione è che le componenti della staff, pur nella diversità dei ruoli, devono concorrere e soccorrere, devono venirsi incontro gli uni con gli altri. Nel film “Il gladiatore”, quando il protagonista insieme ad altri prigionieri viene buttato nell’arena dei leoni, avendo combattuto nell’esercito romano e avendo sperimentato l’importanza del “gruppo”, cerca di tenere insieme tutti gli uomini evitando che si sparpaglino, e questo si rivela l’elemento utile per la vittoria.
La staff deve evitare, perdendo di vista l’obiettivo e dividendosi all’interno, di disperdere le forze. Pur con competenze e con ruoli diversi, è necessario che ci sia sostegno e supporto reciproco.
Quindi, in conclusione, le caratteristiche richieste alla consulenza sono queste:
§      competenza metodologica
§      capacità di empatia
§      creatività
§      umanità dell’approccio
§      integrazione tra competenze diverse
§      fiducia nella capacità delle persone di trovare soluzioni adatte
 
La valutazione conclusiva del progetto è positiva, può considerarsi un’esperienza di successo. È stato progettato un piano di comunicazione a costo zero. Sono stati prodotti progetti “cantierabili” e pronti per poter essere attuati. Sono stati coinvolti altri enti che in vario modo sono entrati in rapporto con la corte d’appello. Sono stati progettati e avviati accordi con scuole, università, banche ecc. Sono state contattate, in fase di benchmarking, moltissime altre realtà. I dirigenti hanno parlato del loro piano di comunicazione ad altri dirigenti sul piano nazionale. E, infine, la formazione-intervento è stata proposta come metodologia per la formazione della dirigenza nel piano di formazione della Giustizia del 2004.


 

 
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