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Obiettivo del Convegno

Programma

Domenico De Masi

Massimo Silvestri

Andrea Pala

Caterina Cittadino

Maria A. Mancini

Silvano Del Lungo

Ivetta Ivaldi

Renato Di Gregorio

Gli impegni post Convegno
 
  
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Sperlonga 26 Ottobre 2004
Formazione-Intervento e Innovazione Organizzativa per lo Sviluppo Locale (le figure del cambiamento)
 
Renato Di Gregorio

 
 
 
L’obiettivo di questo convegno, lo abbiamo detto in premessa, era “quello di approfondire la riflessione sulle “figure” che muovono e caratterizzano il modo di realizzare e assicurare il cambiamento e sulla loro capacità di coniugare la creatività della progettazione con i vincoli delle risorse a disposizione delle autonomie locali e il rigore metodologico di una larga partecipazione, rispettosa al contempo dei ruoli delle e nelle diverse organizzazioni di uno stesso territorio”.
 
Nel corso della relazione del prof. Domenico De Masi, abbiamo visto all’opera il ruolo di un consulente che muove e orienta gli amministratori di Stati diversi, Santa Catarina in Brasile e Ravello in Italia, così da determinare sviluppi locali di successo con la creatività che l’innovazione sempre richiede, ma anche con la tenacia che la realizzazione sempre richiede.
Nelle testimonianze del sindaco del Comune di Valledoria, il dott. Andrea Pala, in rappresentazione dell’Associazione Territorio in Sardegna, e del sindaco del comune di Morolo e presidente dell’Associazione SER.A.F. del Lazio, il dott. Silvestri, viene alla luce con evidenza la loro leadership emergente. Una leadership pulita, quasi inconsapevole, ma chiara come è chiara la testimonianza della loro scelta e la confessione senza pudore di qualche ingenuità iniziale. Viene anche fortemente in evidenza il bisogno personale, ma anche di ruolo, di acquisire con cautela la fiducia nella consulenza che li aiuterà a costruire un’aggregazione di successo, prima di affidarvisi con tranquillità.  La consulenza in questi due casi si caratterizza come una consulenza di processo[1]. Questa è una consulenza che, come dice Edgard Schein, si sviluppa “tra una persona che fornisce aiuto e la persona o gruppo che lo riceve”. Nelle loro testimonianze si respira la forza di chi ha saltato un fosso, di chi è pienamente consapevole delle difficoltà superate, ma è anche incoraggiato e orgoglioso di esserci riuscito tanto da essere sicuro ora di portare avanti il cambiamento nel pieno del ruolo che serve.
Nella testimonianza della dott.ssa Caterina Cittadino emerge invece il ruolo di quell’innovatore che appartiene alla struttura e che si muove dentro l’organizzazione per cambiarla dall’interno. L’esercizio del ruolo qui sembra più agevole in quanto, differentemente dai casi precedenti, non c’è da raccordare il ruolo del consulente con quello del decisore, piuttosto c’è da esercitare con intelligenza e sensibilità la leadership al posto della gerarchia. Essa, come dice Mintzberg[2], è la prima tra le cinque forme di coordinamento possibili e questo tipo di figura la detiene e la può usare. In questo caso l’innovatore ha, al contempo, potere, leadership e competenza e può esercitare tutti questi suoi attributi per portare avanti un progetto di cambiamento. Qui la consulenza copre un ruolo secondario, ma di elevata specializzazione. In sostanza il leader del cambiamento usa la consulenza che gli serve, la sceglie e la gestisce. Anche qui però ci sono dei problemi, perché nonostante il ruolo in questione sia forte, sia collocato in alto nella struttura e quindi possa decidere e abbia i mezzi per farlo, pur tuttavia è alla mercè di decisioni che si prendono a livelli ancora più elevati, e nella P.A. questo è spesso possibile.
Nella testimonianza della dott. ssa Maria Mancini si affronta ancora un altro tema, tutto interno al processo di cambiamento e inerente i ruoli consulenziali che intervengono a gestire la metodologia della formazione-intervento. Ci sono diversi avvertimenti che ella ci lancia. In sostanza, ella dice che gestire un processo di formazione-intervento non è poi così semplice. Infatti un metodologo non può essere improvvisato, anche se chi lo impersona ha lunghi anni di consulenza alle spalle, un tutor di processo non si può confondere con un tutor d’aula, il docente tematico, che si affianca a quello metodologico per aggiungere conoscenze specialistiche al processo di apprendimento, va gestito con accortezza per riportarlo nell’alveo del processo che il metodologo ha tracciato e che i partecipanti ad un progetto di formazione-intervento stanno seguendo. Ella ci dice inoltre che, pur lavorando in un contesto organizzativo in cui c’è una sponsorship forte e presente e una struttura di Formazione che si fa promotrice dell’intervento, il risultato non è sempre scontato. Affindhè il risultato sia positivo è d’obbligo che la sponsorhip decida di tramutarsi in un leader che gestisce concretamente anche la fase realizzativa, e che la struttura tecnica interna di Formazione assorba veramente la metodologia tanto da farla propria, anziché viverla come una delle tante metodologie di formazione che si possono applicare e che terminano con la fine dell’incarico consulenziale. Anzi è proprio la natura stessa della consulenza di processo che non la rende adeguabile agli schemi e ai limiti dell’intervento formativo classico, che ha temi e costi certi e programmati di sviluppo.
Ha ragione il dott. Costantino Formica, infatti, quando avverte che risulta problematico coniugare la necessità di disporre di tempi lunghi di maturazione dei cambiamenti con i fondi di finanziamento di cui possono disporre gli amministratori da parte dei “fondi strutturali”, cioè di quelle risorse economiche che l’Unione Europea mette a disposizione delle aree meno sviluppate dell’Unione.
Nelle considerazioni di Silvano Del Lungo la figura del consulente viene ripresa e contestualizzata in ragione delle epoche storiche. Negli anni 70, quando si conducevano le sperimentazioni per il cambiamento del lavoro nelle fabbriche - egli dice - la metodologia adottata si chiamava ricerca-intervento e a condurla erano i sociologi. Oggi - egli aggiunge - si può parlare di formazione-intervento perché è più chiaro l’obiettivo del cambiamento.  
Io che sono stato uno dei “ricercatori” della ricerca-intervento negli anni 70 posso dire che come consulente perché ritenevo che alcune condizioni di lavoro dovessero essere necessariamente dirigente prima e consulente poi non ho mai smesso di fare il ricercatore. In realtà non ho mai smesso di adoperami per trovare in tutte le organizzazioni in cui sono stato e per cui ho lavorato delle condizioni migliori di lavoro. La formazione-intervento nasce da questo sforzo di progettazione che è durato, ahimè,  trentadue anni! La cosa che ho capito, e che ho cercato di trasfondere in questa metodologia, è che dovevo abbandonare l’idea di fare io il consulente o il gestore di gruppi di lavoro interdisplinari, o l’animatore di processi di cambiamento, o quant’altro. Ho capito che dovevo riuscire a fare diventare consulenti, o meglio progettisti dell’innovazione, tutti i ruoli dell’organizzazione, non solo i vertici, la dirigenza o i tecnici. Ciò significava riuscire a “passare” le tecniche e l’approccio mentale, tipico del consulente, a tutte le persone dell’organizzazione, facendoli lavorare armonicamente tutti sulla progettazione del miglioramento. Il processo di cambiamento dell’organizzazione, che pure viene alimentato e supportato e nel quale vengono coinvolte le diverse figure,  risulta importante ai fini dell’innovazione, ma altrettanto importante risulta essere il processo di apprendimento che si matura  nell’individuo, nei gruppi, nell’organizzazione, nel territorio, dove questo processo si sviluppa. D'altronde Schein ha scritto: “ di centrale importanza, per ogni programma di miglioramento organizzativo, è la creazione di una situazione in cui persone e/o gruppi possono produrre apprendimento e cambiamento”.
Da qui nasce la parola formazione-intervento! Essa nasce proprio per evidenziare che l’intervento di cambiamento in un’organizzazione (dall’ente al territorio) è occasione di apprendimento e che l’apprendimento è condizione di successo dell’intervento di cambiamento. Naturalmente l’intervento di cambiamento richiede una progettualità finalizzata, seppur partecipata, che è figlia di una strategia ben definita e largamente condivisa, che una efficace comunicazione contribuisce a rendere nota e apprezzata. Questi sono proprio le leve che la metodologia della formazione-intervento propugna.
Infatti la prof.ssa Ivetta Ivaldi, che ha tanto lavorato sui gruppi di lavoro interdisplinari per portare avanti i progetti ergonomici, sottolinea giustamente che per ottenere dei risultati “è necessario un metodo. È il metodo, con la sua struttura, le sue fasi, l’individuazione di momenti successivi e progressivi a dare una certa sicurezza al cambiamento”. Ella si riferisce naturalmente alla formazione-intervento e ai suoi caratteri di progettualità e di partecipazione.
Nello scenario che il prof. De Masi ci ha regalato, questa intuizione viene avvalorata allorquando egli dice che il successo di un cambiamento non si può attribuire ad un solo individuo, ma alla condivisione di un obiettivo comune da parte di tutti i cittadini di un territorio, dal tassista che prende il turista all’aeroporto fino al sindaco, ma anche tutti gli enti che possono intervenire, come la Provincia e la Regione, coinvolgendo anche tutte le persone che amano quel luogo e raccogliendo tutte le risorse economiche possibili per finanziare l’obiettivo progettuale.
 
Ma dove nasce la particolarità del successo di questa metodologia nel campo della Pubblica Amministrazione così da renderla così adatta a supportare i programmi di sviluppo locale?
Penso che essa stia proprio sul piano della “condivisione strategica”, quella fase che la metodologia della formazione-intervento pone proprio a monte della “progettazione partecipata”[3].
Nelle imprese la strategia è una scelta dei proprietari ed essi non la condividono più di tanto con i loro collaboratori., mentre nella P.A. la strategia è degli amministratori. Essi vengono eletti dai cittadini e ad essi devono dare costantemente conto.
Qui, condividendo l’analisi del prof. De Masi,  gli elementi di successo di un intervento sono la fortunata congiuntura che si verifica su un territorio quando le leadership politiche in gioco trovano un accordo per un’integrazione che consente di leggere con attenzione ciò che il contesto locale suggerisce proprio per le sue fatture strutturali ( la geografia) e culturali con una visione di globalità unita ad una spregiudicata creatività, che solo in un secondo tempo farà i conti con la praticabilità.
Bisogna dunque leggere le caratteristiche del territorio ed esercitare una creatività strategica che consenta di definire linee di sviluppo perseguibili e condivisibili dai cittadini del territorio. Poi sarà agevole progettare servizi che consentano di sostenere e alimentare tale sviluppo, ricercare finanziamenti adeguati che consentano di realizzare i cambiamenti necessari e tenere sempre in moto questa spirale dell’innovazione come condizione abituale di lavoro e di pensiero.
 
Le testimonianze raccolte in questo convegno ci dicono anche che le figure che intervengono nei cambiamenti delle organizzazioni, in particolare in quelle pubbliche, sono molteplici:
-            il consulente di processo, che affianca il decisore di vertice nella fase delle grandi scelte di cambiamento,
-            il consulente specialista, che viene chiamato in causa quando il manager di un progetto di cambiamento sa di avere bisogno della sua esperienza specifica,
-            l’amministratore, che vive il cambiamento e che si aggrega a coloro che lui reputa in grado di portare benefici concreti,
-            l’amministratore che si fa leader di un gruppo di amministratori che si sentono da lui rappresentati,
-            dirigenti che interpretano il cambiamento e lo gestiscono in virtù e fino a quando hanno un potere da esercitare,
-            i tecnici interni alle organizzazioni che, sotto l’influenza di una leadership forte e motivante sono capaci di produrre grandi cambiamenti nella misura in cui se ne sentono in parte protagonisti,
-            le staffi di formazione dentro gli enti che promuovono interventi complessi salvo la difficoltà poi di gestirli anche successivamente personalmente 
-            i metodologi della formazione-intervento che sono consulenti un po’ atipici perché tentano di portare nella progettazione dell’innovazione tutti i ruoli di un’organizzazione, rispettandone le differenti funzioni e responsabilità, e che si augurano di sviluppare contestualmente progettazione e apprendimento, empowermnent e partecipazione, innovazione e comunicazione,
-            i docenti tematici che la formazione-intervento chiama in causa per aggiungere conoscenza al processo progettuale che si sviluppa su un dato problema, anche se vanno opportunamente regolati, perché siano ancillari al processo attivato,
-            i tutor d’aula e i tutor di processo che intervengono accanto al metodologo nel regolare il processo di apprendimento che si sviluppa e seguono i gruppi con una tipica azione di coaching per sostenere quelle persone che di fronte all’esercizio di un ruolo attivo e progettualmente stringente hanno qualche momento di ansia e di paura.
 
Sono dunque tanti e complessi questi ruoli. Avevamo dunque ragione di parlarne cominciando a distinguerne le caratteristiche a partire dal racconto dei processi posti realmente in essere. Quindi possiamo già ritenerci soddisfatti da ciò che è stato detto e dibattuto.
 
Forse l’interrogativo che dobbiamo porci è : in quale modo tutti questi ruoli si intrecciano e si confondono in modo proficuo per il successo di un cambiamento. È proprio vero che il leader di un cambiamento nella P.A. sia un amministratore? Quanto conta realmente il ruolo del consulente che ad esso si affianca nel muovere l’intera popolazione di un territorio? Quante forme di leadership dobbiamo attivare e come scambiarsi questo ruolo a seconda delle parti che vanno recitate in un copione di un film che abbia un lieto fine? Chi forma queste figure affinché svolgano adeguatamente il loro ruolo?
Una cosa forse che ci trova d’accordo è che non è certamente una sola persona ad assicurare il successo di un cambiamento, ma una pluralità di ruoli e di persone combinate opportunamente, a volte fortunatamente. È cioè necessario che si crei un gruppo che svolga il ruolo di “genius loci” intorno al quale si coagulano le forze positive di un contesto.
Una condizione importante per il successo è anche quella di disporre di risorse economiche che consentano di finanziare l’innovazione. Qui dobbiamo certamente fare dei passi avanti perché non è certamente con finanziamenti a breve termine (massimo l’anno) e l’uso di bandi pubblici ( non si sa con chi si lavorerà  per il cambiamento)  che riusciremo certamente a sostenere processi che hanno bisogno di tempi medio-lunghi e si poggiano sulla fiducia tra i membri del gruppo che li porta avanti. Qui, penso, dobbiamo formulare assieme proposte concrete di cambiamento delle formule e degli assetti, ma anche della cultura dei funzionari che gestiscono l’erogazione dei fondi e il monitoraggio del loro impiego.
Un’ultima condizione di cui tutti ci dobbiamo preoccupare, infine, è la formazione di tutte figure sopra citate! Bisogna pensare ai giovani che si preparano a diventare consulenti/formatori, metodologi e tutor, ma anche degli amministratori, dei dirigenti e dei tecnici, che devono tutti assieme alimentare l’innovazione continua. Forse la formazione che si sviluppa più abitualmente nella Scuola ( vedi i casi delle due esperienze sulla dispersione scolastica riportati in questo libro) e nei nostri Atenei ( vedi quello che afferma il prof. De Masi) è superata e va riprogettata, ma anche l’apprendimento che si sviluppa nelle Scuole di alta formazione forse va riconsiderata. Lo dice bene l’arch. Massimo de Cristofaro, quando allude al fatto che è bene sperimentare altre forme, più attive, di formazione, anche perché la popolazione che ne deve fruire è sempre più fatta di adulti. Ciò è ancora più importante se consideriamo che a formarsi non dovrà essere solo il personale degli enti pubblici e delle imprese, ma la stessa collettività di territori di una certa composizione distintiva se vogliamo che essa partecipi alla condivisione strategica e alla progettualità partecipata
Questo è forse il primo progetto di cambiamento che dobbiamo promuovere, tutti assieme!
 
 
 


IMG687477.jpg [1] E. H. Schein, La consulenza di processo, Raffaello Cortina, Milano 2001

[2] E. Mintzberg

[3] R.Di Gregorio, il Manuale della Formazione-Intervento, ed. Impresa Insieme Milano 2005


 

 
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