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Obiettivo del Convegno

Programma

Domenico De Masi

Massimo Silvestri

Andrea Pala

Caterina Cittadino

Maria A. Mancini

Silvano Del Lungo

Ivetta Ivaldi

Renato Di Gregorio

Gli impegni post Convegno
 
  
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Sperlonga 26 Ottobre 2004
Formazione-Intervento e Innovazione Organizzativa per lo Sviluppo Locale (le figure del cambiamento)
 
Silvano Del Lungo

 

IMG937382.jpg Leader e leadership


Leader e Leadership sono due vocaboli inglesi che, anche parlando italiano, usiamo correntemente nella forma  inglese, perché in italiano mancano due vocaboli che abbiano una corrispondenza esatta di significato con Leader e Leadership . Per Leader in italiano abbiamo, in ordine di prossimità di significato le parole: Capo (Head, Chief, Boss, in inglese), Direttore, Dirigente (in inglese Manager) e via proseguendo. Per Leadership è ancora più difficile: si va da Comando, a Funzione di comando a Qualità di chi comanda. 
 
Anche nella lingua inglese l’uso dei  due vocaboli nel senso attuale risale non più in là dei primi anni dell’ottocento. Ciò a testimonianza della modernità e della novità del significato a cui, attraverso i due significanti (cioè le due parole), i parlanti hanno voluto dar corpo ed espressione.
 
Il Leader non è dunque un Capo. Il Capo ( originariamente metafora della funzione della  testa nel corpo) è concentrato sulla produzione e sui relativi compiti; non ispira i suoi dipendenti, né considera i bisogni dei suoi dipendenti al di là di quello che le regole contrattuali e organizzative prevedono. Il Capo è – ed ancor più lo era alcuni decenni fa- uno snodo importante per il funzionamento di un’organizzazione produttiva , ma è soltanto uno snodo, che verifica che le regole siano rispettate e riporta a norma ciò che dalla norma, per i più vari motivi, si discosta. Il Dirigente (Manager) è anch’esso un ruolo che gestisce parti ed aspetti dell’organizzazione più ampi che non il Capo, ma, come il Capo, anche il Manager  guarda soprattutto agli interessi dell’Organizzazione e, soltanto in funzione di questi, guarda alla motivazione delle persone, intese come risorse (umane) da utilizzare all’interno dell’Organizzazione e per il successo della medesima.
 
Leader è qualcosa di più e di diverso da tutto ciò. Leader è una guida. Una guida riconosciuta  non già perché occupa una posizione, non per la autorità a lui attribuita dalla Organizzazione. Il Leader è una Guida riconosciuta perché coloro che lo seguono si riconoscono in lui, nelle sue idee, nei traguardi che egli pone loro. E i seguaci si riconoscono in lui perché egli si riconosce in loro. Egli riconosce i loro bisogni e quelli della comunità cui appartengono. A tutti noi sono note personalità di questo tipo tra i grandi Leader religiosi (Mosè, Gesù, Maometto), tra i grandi Leader politici (Wiston Churchill), tra i Leader iniziatori di movimenti in favore di cambiamenti culturali (Gandi, Martin Luther King, ) sociali, politici (Marx, Lenin) .
 
I Leader del cambiamento  di cui vogliamo qui parlare sono Leader  in un certo senso di dimensioni più modeste, meno visibili e meno noti: Leader di comunità, di organizzazioni da cui ci si aspetta, però, insieme alla elaborazione e trasmissione di ideali nuovi, anche cambiamenti concreti come servizi e prodotti funzionanti per una comunità di uomini.
 
 
Un’altra considerazione va riservata all’accostamento fatto, nel titolo di questo articolo, tra Leader e Leadership, da una parte, e Processi di Cambiamento dall’altra. I Processi di Cambiamento, riguardano  le persone, le Organizzazioni produttive  e le Comunità. Nel parlarne ci riferiamo al prodursi non casuale di  trasformazioni desiderate e guidate da una Leadership. Cambiamenti appunto. Tali cambiamenti mirano  a modifcare i modi di esistere , di stare insieme , le regole che governano lo stare insieme, gli scopi stessi del sistema collettivo a cui apparteniamo. Tali processi  prendono di solito avvio da una Crisi che ha colpito e talora paralizzato sinanco la ragion d’essere del sistema o la sua produttività o il benessere di chi ci vive, una Crisi    in conseguenza della quale è scemata la reciproca convenienza  dei membri a permanere nel sistema e si è generato malessere, stanchezza, voglia di cambiare. Cambiare ma cambiare come? Per andare dove?
 
Qui interviene la funzione del Leader. L’essenza del Leader è l’essere portatore di una Vision. La Vision è la percezione quasi visiva di una realtà che non c’è, ma che, pur non essendoci, appare possibile, appare realizzabile, realizzabile muovendo dal presente, appare conveniente, forse entusiasmante; quella realtà futura, appare infatti come se potesse  soddisfare i bisogni della comunità e di tutti i suoi membri. Utilizzo il vocabolo apparire, perché la dimensione dell’apparire è la dimensione fondamentale dell’affermazione di un Leader e della sua Vision.Certo c’è nella Vision anche la percezione del lavoro necessario per trasformare il presente, ma non sempre e mai così chiara come il punto di sbocco del cambiamento.
 
 
La Vision è dunque il punto di partenza per farsi Leader. Per diventarlo pienamente c’è molto da fare ancora.. Il futuro Leader deve saper comunicare e trasfondere, quasi, la sua Vision alle persone della comunità o dell’organizzazione; egli deve condividere la sua Vision con tutti gli interessati ( favorevoli o resistenti al cambiamento che siano) utilizzando parole che tutti possano capire e deve infonder loro la fiducia che potranno essi stessi realizzare il cambiamento per se stessi, con vantaggio, cioè, della comunità e di ciascun membro della stessa.
 
Ma neppure la condiVisione della Vision basta. Raggiungere il risultato prefigurato nella Vision significa costruirlo. La costruzione richiede un progetto, il progetto del risultato finale prefigurato, il progetto dell’organizzazione del lavoro necessaria per realizzarlo, della suddivisione dei compiti, vuoi di progettazione  vuoi, successivamente, di realizzazione; e la realizzazione richiede un programma articolato in attività, tappe, output e  tempi di realizzazione, e richiede la gestione di questo programma (Project Management).
 
Una volta che i membri di un’organizzazione o di una comunità abbiano condiviso la Vision, la progettazione e la realizzazione potrebbero essere affidati a ingegneri e costruttori terzi, esperti di progetti e costruzioni. Probabilmente il risultato a mano a mano che procedono il lavori correrebbe il rischio di allontanarsi da quello prefigurato che, in quanto prefigurato, è nella mente di ciascuno relativamente preciso, quanto ai bisogni che deve soddisfare, ma altrettanto impreciso quanto alle sue strutture, alla organizzazione e alle funzioni che deve avere per soddisfare quei bisogni.
 
Come mantenere l’intera opera di progettazione e realizzazione aderente alla pur confusa, ma insieme precisa Vision iniziale? Ciò equivale a chiedersi come mantenere durante  l’intera opera una Leadership attiva che animi e rinnovi di continuo la Vision e ne renda tutti partecipi. Non basta la Vision. Non basta la condiVisione della Vision. Il Leader deve render capaci di agire tutti gli interessati. Deve, cioè, fornir loro gli strumenti e i metodi per progettare e produrre il cambiamento. Inoltre, allorché il progetto incorpora costrutti tecnici  o tecnologie, che richiedano l’intervento di specialisti (ingegneri, informatici, ecc) il Leader deve insegnare ai seguaci i metodi per negoziare con costoro ciò che va costruito, soprattutto le funzioni che il nuovo  costrutto dovrà svolgere i servizi che dovrà rilasciare a chi e quando, i deliverable. Questo è il metodo per garantire che il cambiamento sia il cambiamento che giova a tutti, alla comunità nel suo insieme, frutto della partecipazione e della cooperazione; questo è il metodo per evitare che il cambiamento generi vinti e vincitori, chi guadagna e chi perde dall’avvento del cambiamento.  E non ci saranno né vinti né vincitori perché i conflitti saranno stati preventivamente risolti in un confronto tra pari. E’  questo il momento in cui il  processo di cambiamento si farà duro. E a quel momento il Leader mostrerà di saper mettere le mani in pasta di sapersele sporcare. Un Capo, un Boss dà ordini: un Leader mostra ai suoi come si può fare.
 
Questi, qui enunciati, sono al fondo i principi della metodologia della Formazione-Intervento. Questa è la metodologia che ha non soltanto ispirato, ma guidato e sostenuto la realizzazione di tutti i casi di cambiamento che vengono presentati in questo convegno di Sperlonga.
Si è visto  anche come i casi presentati riguardino tutti l’Amministrazione Pubblica Locale o Centrale.
Oggi, e da alcuni anni, infatti, la Crisi di cui si è parlato come della fonte prima del bisogno  di Cambiamento Organizzativo e sociale ha toccato e tocca  le Amministrazioni pubbliche Centrali e locali e la qualità del servizio che esse rendono al cittadino.
Accanto alla Crisi vi sono però anche tante opportunità utilizzabili per il cambiamento; esse sono date soprattutto dall’uso distribuito delle tecnologie ICT ,cioè a intelligenza decentrata  sul territorio  e a regolazione accentrata. Per  concepire e realizzare il cambiamento, occorre una nuova Leadership guidante e Visionaria  volta a risolvere la crisi superandola, cambiando, cioè, dapprima l’approccio con cui si guarda al già esistente e successivamenete  approdando a soluzioni nuove con metodi nuovi
 
 
La  metodologia nuova c’è ed è la metodologia della Formazione-Intervento che incorpora i principi di partecipazione e cooperazione per la conduzione del Processo di Cambiamento e al suo interno per la riprogettazione dell’organizzazione .Sulla storia di questa metodologia  conviene forse fermarsi un poco.
La Formazione-Intervento affonda le sue radici in una pratica che nacque oltre trenta anni fa nei grandi stabilimenti industriali e che era allora denominata Ricerca intervento. Con una immagine più appropriata si può dire che la Ricerca–Intervento sta alla Formazione-Intervento come il  gheriglio di una noce sta all’albero alto e frondoso che da quel gheriglio e da quella noce germinò 35 anni or sono. La Formazione-Intervento senza mai perdere il contatto con le sue radici è andata  sviluppando negli anni con continuità e assiduità una complessa metodologia riprogettativa mantenendo fede ai principii,già presenti nelle sue radici.
 
 
 
 
 
Torniamo adesso al contesto di Crisi in cui nacque la Ricerca –Intervento. Nacque come risposta ad una Crisi profonda, una Crisi organizzativa che per il suo persistere nel tempo s’era fatta Crisi sociale, che dava luogo ad insoddisfazione, conflitti sindacali e sociali, ribellioni nella quotidianità del lavoro. Un modello organizzativo fondato sulla progressiva (nel tempo) divisione del lavoro nelle sue diverse forme, cioè diVisione del lavoro direttivo, divisione del lavoro delle macchine e diVisione del lavoro esecutivo, aveva dato i suoi frutti con un aumento progressivo della produttività del lavoro, sino a tutti gli anni ’60 del novecento, ma aveva anche raggiunto il fine corsa tecnico  a causa della non ulteriore divisibilità del lavoro e i tentativi di proseguire ulteriormente in quel metodo avevano provocato insieme una Crisi  produttiva e una Crisi sociale, che nel loro combinarsi furono denominate Crisi dell’Organizzazione del Lavoro.
Tale Crisi investì tutte le aziende industriali soprattutto dei settori siderurgico e meccanico.
 
Le iniziative fondate sulla Ricerca-Intervento furono  forse il primo tentativo di affrontare contemporaneamente crisi organizzativa e crisi sociale per trasformarla in opportunità nuove, in un nuovo modo di lavorare e di produrre.
Alcuni Leader immaginarono e previdero (ecco la Vision) nuove forme organizzative fondate su competenze diffuse e localizzate nella produzione, che potevano sostituirsi alle  competenze accentrate e trasmesse attraverso regole e procedure, concentrate nell’attività delle Staff Direzionali e in quella dei Capi. Quei Leader promossero esperimenti di riprogettazione della Organizzazione del Lavoro affidandola a gruppi di lavoro operai guidati da nuovi tipi di consulenti, al posto dei consulenti di “tempi e metodi”, consulenti inesperti di produzione ma esperti del sociale produttivo. A ciascun gruppo ,in ciascun impianto veniva comunicata l’idea di cambiamento immaginato e venivano forniti strumenti e metodi  per riprogettare l’Organizzazione del Lavoro essi stessi. Tra le sperimentazioni di allora nacque il nuovo modo di lavorare a isole o il nuovo modo di condurre gli impianti e anche, se vogliamo, il ricorso successivo ai robot come sostituti, in molte mansioni, degli operai.
 
Abbiamo testé attribuito ad “alcuni Leader” lo storico passaggio ora ricordato, semplificando un po’ le cose.
In realtà cambiare un sistema organizzato , dotato di regole robuste di modelli di sviluppo consolidati, di un modo stabilizzato di concepire la realtà, richiede più di  qualche Leader, richiede una Leadership composita, cioè formatasi attraverso il confronto di potenziali Leader che guardano da punti di vista diversi e convergenti alla stessa realtà problematica, che diverrà poi, oggetto del cambiamento.
 
Le condizioni del formarsi di questa Leadership sono date dalla capacità di guardare alla realtà da cambiare appunto da punti di vista diversi, vale a dire derivanti da esperienze e conoscenze personali diversificate, formatesi attraverso percorsi molteplici.
Alcuni sentono il bisogno di un rinnovamento, ma se ragionano sull’oggetto da cambiare lo conoscono così profondamente, lo sentono talmente loro, perché tale lo hanno costruito giorno dopo giorno nella loro testa, che non riescono a uscirne e finiscono col mantenere una Visione conservativa.(al tempo, questa era la posizione tipica della maggior parte dei capi intermedi)

Altri, provenendo da altre esperienze per esempio politiche, sociali, sinndacali, possono avere una Visione innovativa addirittura rivoluzionaria: spesso risulterebbe  velleitaria e rischiosa, se la visione dei primi, dei conservatori, e la loro conoscenza dei processi produttivi non riuscisse a influenzarne e a frenarne i voli.

Al tempo della rivoluzione dell’Organizzazione del Lavoro su ricordata, tre tipi di Leader si combinarono in un’unica Leadership guida, e cioè :
a)       alcuni Manager di alto livello, di solito collocati ai vertici aziendali, dotati di Visione sociale e politica, oltre che organizzativa; Capivano che si doveva andar oltre; di questo oltre conoscevano la direzione e i rischi a cui avrebbe esposto le aziende, avevano anche una certa dose di potere per farlo, ma gli mancva il come.
b)       i primi sociologi del lavoro che s’affacciavano in quegli anni sulla scena industriale e gli psicologi del lavoro, alcuni dei quali, già da un decennio operavano all’interno di alcune  aziende di avanguardia;i sociologi erano spesso portatori di idee nuove, teoriche e rivoluzionarie; gli psicologi , e insieme ad essi anche alcuni giovani tecnici aziendali, veri esperti della condizione operaia per aver lavorato a lungo tra le maestranze; gli uni e gli altri erano capaci di guardare ai dati organizzativi e culturali da punti di vista nuovi rispetto agli aziendali, in quanto loro stessi nuovi e culturalmente trasversali all’azienda
c)       Il sindacato che si rispecchiava e guidava la forza lavoro in protesta .
La Leadership necessaria a condurre quegli esperimenti andò formandosi così , mettendo a confronto sul campo essenzialmente tre visioni mozze edue poteri di “far fare agli altri” pure mozzi,  perché confliggenti tra loro, per arrivare a fare una Vision intera e tre poteri cooperanti all’obbiettivo del cambiamento organizzativo.Le tre visioni mozze erano: quella orientata ma confusa dei Vertici illuminati, quella orientata ma certo un po’ Visionaria e talora velleitaria  dei Consulenti sociologi e psicologi,  e quella del Sindacato, che esprimeva il desiderio della base operaia di cambiare (di liberarsi dalle sue costrizioni) senza saper come, ma anche coi piedi ben piantati a terra sul presente . I due poteri di “far fare”, mozzi, erano quello dei vertici illuminati e quello del sindacato , mozzi perché in radicale conflitto, ambeddue impediti ad esercitare pienamente il proprio potere istituzionale.
Dalle interazioni tra questi Leader, dalle contaminazioni delle mozze ma complementari  loro visioni andò formandosi quella Vision unica, sufficientemente omogenea da consentire di esercitare, per il tramite di una metodologia, una Leadership tendenzialmente unica. La nuova Vision la nuova Leadership combinava i tre ruoli e i tre poteri di: Management, Sindacato e Consulenza. E’ essenziale in questa nuova configurazione delle Leadership per il cambiamento il ruolo della consulenza. La consulenza è il modo unovo di guardare alla realtà organizzativa, di guardarla, ad esempi,o da un punto di vista sociale o psicologico oltre che economici e produttivo. La consulenza è l’elemento, nel gioco delle Leadership, che riesce per questo a riconfigurare  gli elementi dell’organizzazione e la natura degli scambi tra le parti in combinazioni e ragioni nuove e tali da conciliare le esigenze delle diverse parti in campo , rimettendo così in moto la cooperazione tr ai tre poteri e portando avanti il processo di cambiamento verso la nuova organizzazione del lavoro.
 
Questo è quel che fu, ma torniamo a quel che è.
 
Quel che è lo abbiamo sotto gli occhi in questo nostro Convegno.
 
Oggi la sfida del cambiamento organizzativo tocca soprattutto la Pubblica Amministrazione, sia nelle articolazioni centrali sia nelle articolazioni locali. 
Una delle sfide più significative per il nuovo dirigente dell’Amministrazione Pubblica è quella di poter completare ed equilibrare il ruolo tecnico-manageriale con quello di Leader.
Sempre più il settore pubblico è confrontato con proposte di riforma e di cambiamento. Si chiede di inventare un modo continuo e radicalmente diverso di condurre gli affari, un’amministrazione più imprenditoriale e meno burocratica.
In generale, i dirigenti possiedono buonissime competenze tecniche e manageriali, ma poche competenze di conduzione e di motivazione delle persone. Diventa quindi di primaria importanza poter sviluppare un profilo di Leader nel contesto del cambiamento.
 
Ebbene quasi tutti i casi che oggi vengono presentati qui a Sperlonga ci mostrano questa nuova Leadership, talora allo stato nascente, nelle combinatorie alchimie del suo generarsi.
 
Il modulo combinatorio che abbiamo visto formarsi e ricorrere in diversi tra i casi presentati può essere così riassunto:
a)       l’Amministratore locale, spesso un gruppo di nuovi amministratori in possesso di valori a cui dar corpo, i quali tuttavia per difetto di esperienza stentano a coagularsi in una Chiara Vision (penso ai racconti del Sindaco di Morolo e ancor più del sindaco di Valledoria);
b)      un consulente che si è lungamente  sperimentato nella gestione del cambiamento organizzativo, sviluppando e raffinando via via la metodologia della Formazione-Intervento,il quale  nello specifico si  è cimentato ripetutamente nel cambiamento degli enti locali e il quale pertanto ha una sua Vision dell’organizzazione capace di sostenere lo sviluppo locale, Vision  da proporre agli Amministratori e da condividere con loro e con i funzionari ( penso qui al consulente Renato Di Gregorio, ideatore della Formazione-Intervento)
c)      Questa è la prima fecondazione generativa. Le due cose: l’ideale verso cui muove il Politico Amministratore e la Vision organizzativa del consulente ( cioè la capacità del consulente di dar un corpo progettuale all’aspirazione del politico ed anche di strumentare metodologicamente il percorso per relizzare il progetto)  si combinano tra loro in una unica Vision e in unico progetto da condividere ancora con l’apparato burocratico locale, il naturale custode dell’esistente e della sua persistenza

      ( di nuovo sto pensando al Sindaco di Valledoria e al Sindaco di Morolo, i quali, nelle loro parole, raccontano il momento dell’incontro della consulenza, il momento   della scoperta, soggettivamente vissuto quasi come una rivelazione

     d)

 Poi c’è il terzo, più lungo, più travagliato passo quello della terza generazione combinatoria: la    condivisione e l’implicazione nel progetto e nella metodologia dei funzionari e/o dei partner politici (i piccoli comuni del Frusinate)

Qui c’è da condividere Vision e metodologia. C’è da superare , tra i funzionari, il radicamento ad una concezione immobile della normativa, quasi un mostro che autorizza o vieta . C’è da superare tra i partner della geografia locale le concezioni localistiche estreme, l’estrema parcellizzazione e contrapposizione degli interessi. (Anche su questo punto mi rifaccio ai racconti del sindaco di Morolo.) E’ la raffinata metodologia di cui il consulente è portatore che consentirà di condividere e di realizzare il progetto attraverso la partecipazione e cooperazione dei funzionari dell’ente locale dei eventualmente dei cittadini e dei partner territoriali
 
 
 
Il quadro dinamico ora descritto mostra come la Vision di un progetto di cambiamento sia in effetti il risultato di una combinazione musiva  di vision diverse.  Mostra come il Leader si trasformi  in realtà in una Leadership collettiva che funziona come un sistema aperto in ragione di una serie di combinazioni e di scambi che danno al sistema l’enpowement, il potere di fare: al soggetto istituzionalmente detentore del potere, ma  con lui via via a tutti gli altri dal funzionario al cittadino. Emerge anche il ruolo ponte del Consulente. Egli attraverso e grazie alla sua Vision organizzativa del territorio è capace  di inverare in un progetto l’aspirazione del Leader politico e, attraverso la metodologia che mette in opera, crea anche le condizioni per trasformare il progetto in un’opera collettiva che congiunge il  gli Amministratori politici con i funzionari e in genere la burocrazia e questa con i cittadini.
 
 
E’ così che si forma una Leadership dei Processi di Cambiamento e si consolida. E’ una Leadership che nasce dalla contaminazione di tre diverse entità, che in tanto formano insieme una Leadership dei Processi di Cambiamento, in quanto sono riusciti a fondere in una sola Vision orientata al cambiamento tre diverse  Visioni incomplete (quella dell’Amministratore e quella del Consulente) o disomogenee alle prime due, quella dei funzionari e dei partner locali.
 
Quando una di queste tre entità viene meno per qualsiasi ragione,  la Leadership si perde, perché si perde la Vision che è unitaria e la possibilità stessa di cooperare. Emblematico in questo senso il caso recato al Convegno dalla Dottoressa Cittadino: la perdita del Leader politico e con essa il disfacimento della Leadership del Cambiamento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 
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